il Fatto Quotidiano, 13 giugno 2023
Tutte le ombre di mafia su Berlusconi
Cosa resterà del tema più divisivo dell’ultimo trentennio, cioè i rapporti tra mafia e Silvio Berlusconi, il suo gruppo e il suo braccio destro Marcello Dell’Utri? Difficile dare un giudizio storico (non giudiziario) sul personaggio se non si risponde alle domande ancora aperte sulla questione. Partiamo dai punti fermi: Berlusconi non è stato mai nemmeno processato per i suoi presunti rapporti con la mafia. Fu solo indagato e archiviato su richiesta dei pm nel 1997. Ci sono state poi le indagini per le stragi. A Caltanissetta, Berlusconi è stato indagato e prosciolto su richiesta dei pm più volte per le stragi del 1992. A Firenze è stato iscritto e prosciolto più volte su richiesta dei pm per le stragi del 1993. Dopo le dichiarazioni del boss Giuseppe Graviano sui suoi presunti rapporti con il Cavaliere (mai dimostrati e smentiti da Berlusconi come calunnie), Berlusconi è stato indagato di nuovo ma solo a Firenze, ancora una volta assieme a Marcello Dell’Utri, per un presunto ruolo di ‘mandante esterno’ alla mafia per le stragi di Firenze (27 maggio 1993, cinque morti), Milano (27 luglio 1993, cinque morti) e per gli attentati senza vittime di Roma contro le Basiliche di San Giovanni e San Giorgio al Velabro (notte tra 27 e 28 luglio 1993) e contro Maurizio Costanzo il 14 maggio 1993, nonché contro i carabinieri di servizio allo Stadio Olimpico il 23 gennaio 1994. Per quei fatti gravissimi sono stati già condannati i boss della mafia e le ipotesi sul coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri non sono mai state riscontrate.
Dal punto di vista giudiziario, restano ferme invece le affermazioni scolpite nella sentenza Dell’Utri divenuta definitiva nel 2014. La condanna per concorso esterno in associazione mafiosa riguarda solo Dell’Utri, ma investe di una luce poco limpida anche la figura del fondatore di Forza Italia. I giudici considerano Berlusconi un imprenditore vittima di un’estorsione che – invece di denunciare – ha preferito stipulare un patto con Cosa Nostra nel 1974 a seguito di un incontro a Milano tra Berlusconi e una delegazione della mafia, capeggiata dal boss Stefano Bontate con Mimmo Teresi e Tanino Cinà. L’incontro, al quale ha partecipato Dell’Utri, è stato narrato ai magistrati da uno dei mafiosi presenti, Francesco Di Carlo, poi divenuto collaboratore di giustizia, morto per Covid nel 2021. Poco dopo quell’incontro, arrivò nella villa di Berlusconi ad Arcore Vittorio Mangano, un mafioso di Palermo che però allora non era stato arrestato per reati di quel tipo e poteva presentarsi come ‘fattore’ ed esperto di cavalli. I suoi datori di lavoro però qualcosa avevano intuito. A Il Foglio recentemente Dell’Utri ha raccontato: “Quando Mangano e Tanino Cinà vennero a Milano dalla Sicilia Berlusconi dopo averli squadrati, mi fa: ‘Uhm, accidenti che facce’”.
Era quello il periodo dei sequestri di persona. Berlusconi ha detto in un’intervista che il figlio Pier Silvio fu minacciato quando aveva cinque anni, quindi nel 1974. Il Cavaliere fu costretto a portare la famiglia all’estero e, secondo la sentenza contro Dell’Utri, proprio in quel periodo avviene l’aggancio della mafia con l’arrivo di Mangano. Nel 1988 Berlusconi fu intercettato mentre raccontava a un amico che si erano fatti sotto di nuovo con le minacce. Aveva mandato lontano il figlio Pier Silvio perché “se entro una certa data non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio a me ed espongono il corpo in piazza Duomo…”. In un’intervista Berlusconi ha parlato bene di Mangano ricordando che “accompagnava i miei figli a scuola”. Evidentemente si fidava della sua capacità di sconsigliare i male intenzionati.
Comunque, per i giudici, “i pagamenti di Berlusconi in favore di Cosa Nostra palermitana – quale corrispettivo per la complessiva protezione a lui accordata e in attuazione dell’accordo raggiunto nel 1974 con la mediazione di Dell’Utri – erano proseguiti senza soluzione di continuità. I soldi venivano materialmente riscossi a Milano presso Dell’Utri da Gaetano Cinà che provvedeva a recapitarli a Stefano Bontate e, dopo la morte di quest’ultimo, li faceva pervenire ai Pullarà tramite Pippo Di Napoli e Pippo Contorno, ‘uomo d’onore’ della stessa ‘famiglia’ mafiosa”.
Quando finirono i pagamenti? La sentenza definitiva contro Dell’Utri ferma il rapporto al 1992, prima della fase politica. La condanna in primo grado contro Dell’Utri nel processo Trattativa, invece ipotizza proseguissero fino al dicembre 1994. Poi la condanna contro Dell’Utri è stata annullata in via definitiva, ma per la Corte d’appello “deve ritenersi provato che almeno fino al 1994 Cosa Nostra ricevette la somma di lire 250 milioni a titolo di ‘pizzo’ per le ‘antenne’ installate a Palermo dalle società televisive di Silvio Berlusconi”.
Non è provato che fosse Dell’Utri il mediatore. Né che Berlusconi fosse informato delle interlocuzioni tra Dell’Utri e Mangano nel 1994 per iniziative legislative in favore della mafia da parte di FI.
Alla fine il ritratto di Berlusconi della sentenza Dell’Utri resta quello di una vittima dell’estorsione mafiosa, che magari non si comporta da cittadino modello, perché stipula un patto di protezione mediante il suo collaboratore con la mafia. Però B. resta una vittima: solo Dell’Utri è colpevole di concorso esterno.
Il punto più delicato delle indagini resta quello (non provato) che stanno esplorando i pm Luca Turco e Luca Tescaroli nell’indagine di Firenze: il presunto rapporto con Giuseppe Graviano, condannato per le stragi del 1992 e 1993. Graviano ha raccontato che il nonno materno avrebbe investito nei primi cantieri milanesi di Berlusconi negli anni 70 e che lui stesso avrebbe incontrato personalmente tre volte il Cavaliere. Esisterebbe addirittura una scrittura privata (mai trovata) che documenterebbe i rapporti (leciti per Graviano) degli investitori siciliani con Berlusconi. Queste affermazioni non sono riscontrate e sono negate come calunnie da Berlusconi.
Graviano, va ricordato, non è un pentito, ma un boss irriducibile che si dichiara addirittura innocente. Sembra talvolta lanciare messaggi minacciosi che vanno presi con le molle. Nella sentenza definitiva del processo Dell’Utri, peraltro, anche il rapporto Dell’Utri-Graviano (negato da entrambi) si ritiene non provato. Il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza afferma di avere ricevuto confidenze da Giuseppe Graviano nel gennaio 1994 su presunte garanzie sul fronte politico avute dal duo Berlusconi-Dell’Utri. Però Spatuzza è considerato inattendibile dai giudici di appello del processo Dell’Utri. Anche se è ritenuto attendibile in altre sentenze. Per questo le indagini di Firenze, anche dopo la morte di Berlusconi, restano importanti. Se i pm riuscissero a riscontrare le affermazioni di Spatuzza e/o di Graviano, anche il giudizio storico sulla parabola politica di Berlusconi dovrebbe essere rivisto. Oggi, anche per i giudici, Berlusconi resta solo un imprenditore che ha cercato e trovato – grazie a Dell’Utri – uno scudo contro la minaccia mafiosa per salvare le aziende e i figli.
Se Berlusconi avesse dialogato con un boss della mafia stragista del 1992-1993 come Graviano, prima della sua discesa in politica, il giudizio storico sarebbe nettamente diverso. Nelle sue conversazioni in carcere intercettate nel 2016, Graviano faceva intendere che Berlusconi gli avesse chiesto una cortesia e diceva che il Cavaliere già nel 1992 voleva scendere in politica. Poi aggiunge sempre riferito a Berlusconi: “Mi disse: ‘Ci vorrebbe una bella cosa’”. La Dia, interpretando la mimica di Graviano, arriva a sostenere che quella ‘bella cosa’ potrebbe essere addirittura un evento esplosivo, una strage insomma. Sono solo supposizioni però. E non è certo da Graviano che si possono attendere risposte serie alle domande sui rapporti presunti tra Berlusconi e la mafia. Semmai dalle indagini dei pm di Firenze. L’inchiesta sulle stragi non si chiuderà con la morte di Berlusconi. Ancora una volta, come in vita, sarà l’amico Marcello a subire l’attività dei magistrati. Da solo.