il Giornale, 12 giugno 2023
Le suore da record
Zitte zitte o, meglio, cantando, hanno portato in fondo un’impresa da Guinness dei primati. Quarantacinque suore benedettine, del monastero francese di Notre Dame de Fidélité, hanno registrato ottomila ore di canto gregoriano: a portata di click grazie all’applicazione Neumz. Una missione condivisa con la casa discografica Odradek Records che nel 2019 ha avviato l’incisione (ancora in corso) dei canti che quotidianamente riempiono questo monastero di Jouques, nel cuore della Provenza, in un mare di lavanda, nella terra di trovatori e amor cortese, hotel Châteaux e villaggi decadenti, abbazie che vivono di passato, come Le Thoronet, e in pieno rigoglio, il caso di Notre Dame de Fidélité. Seguendo la regola benedettina dell’ora et labora, le giornate delle monache sono scandite da momenti di lavoro e di preghiera: non recitata ma volta in canto gregoriano. Si lavora nei campi, producendo olio, vino, lavanda e ortaggi, si semina, si pota, si guida il trattore, si cuce, rammenda, dipinge e cucina. Si commerciano i prodotti realizzati, perché il denaro non è lo sterco del diavolo bensì dignitoso mezzo di sostentamento, un commercialista provvede alla contabilità. «Il monaco vive del lavoro delle proprie mani. Lavoro che non deve essere né troppo poco né tanto, è questione di equilibrio. Tutte noi ci diamo da fare, anche a seconda dell’età (dai 20 ai 90 anni, ndr), le sorelle più anziane non vanno nei campi, per esempio, ma stanno in cucina e preparano le verdure. Ognuna dà il proprio contributo», spiega Suor Bérengère. Si contempla e si prega (...) (...) cantando colossal, da mezzo milione di euro: messo sul piatto, dal primo all’ultimo euro, da Anderson. LA PARTENZA Si è partiti da zero. Non c’era neppure una connessione internet. Enrique Valverde, GM di Odradek, ci racconta l’episodio di lui che con suor Marie Dorothée va in un negozio di informatica di Aix en Provence per acquistare un router capace di reggere un traffico da 20 giga giornalieri. «Tutti questi giga in un monastero di clausura? Siete sicuri?», chiede il commesso, perplesso anche per via della presenza di una monaca di clausura. L’impresa decolla e Suor Marie Dorothée assume il compito di accendere e spegnere i microfoni prima e dopo ogni intervento del coro, a fine giornata trasmette il materiale (di qui la necessità dei giga) allo studio di registrazione. «Inizialmente alcune di noi erano scettiche, intimorite dall’operazione e in particolare dai microfoni. Le abbiamo convinte anche chiedendo che i microfoni non fossero invasivi, infatti li hanno calati dall’alto eliminando le aste» racconta Suor Bérengère sicura che sia un bene «mettere la tecnologia al servizio di un patrimonio secolare». Cosa vuol dire pregare quando la parola è vestita di suoni anziché nuda? «Nel gregoriano il canto amplifica il significato della parola, che rimane prioritaria. La melodia aiuta a comunicare gioia, vedi l’Alleluia, il senso di quiete assoluta, sale e scende riproducendosi all’infinito». La nostra mente va ai capolavori sacri dei più grandi musicisti della storia, alle Messe, Inni, Requiem, Stabat Mater di Verdi, Brahms, Beethoven, Pergolesi, Palestrina. Domanda: in questi casi, come si esprime il sacro? «È musica altissima però complementare rispetto al gregoriano, tocca i sensi distogliendo l’attenzione dall’essenza del sacro. Il gregoriano è fatto di sobrietà, umiltà, centrato sul testo. Escludendo il gregoriano, forse la musica sacra più profonda è quella composta da Bach» risponde Suor Bérengère. Bach però era protestante, non è un problema? replichiamo. «DIFFONDIAMO SPIRITUALITÀ» «Il sacro è sacro. Non ragioniamo per etichette», risponde. E prosegue, «siamo contemplative, ma non siamo esseri di solo spirito. Siamo fatte di carne e sangue. Non viviamo su chissà quale pianeta. Siamo di clausura ma connesse al mondo reale. In convento ospitiamo persone in difficoltà o semplicemente desiderose di vivere momenti di spiritualità. Abbiamo aderito al progetto Neumz perché speriamo possa diffondere un po’ di spiritualità nel mondo». E come vedono il «mondo» al di là della grata e del perimetro del monastero? «Sta letteralmente perdendo la testa. Sono appena rientrata dal nostro monastero africano, e ancor più di prima percepisco quanto da noi scarseggi il senso di solidarietà. In Africa tutti si aiutano, gli sguardi possono essere contrariati all’inizio, per ragioni veramente gravi, però poi si illuminano subito di un sorriso genuino. In Europa, la gente fatica a sorridere, a partire dai nostri ragazzi: sembra che abbiano tutto e invece hanno niente perché privi di prospettive. Tutto sta accadendo molto in fretta, si corre anche nel precipitare». Che dire dei genitori di questi nostri giovani? «Dove sono? Mancano solidità e punti fermi», la risposta secca. Cosa perde un bimbo che non prega? Chiediamo. «Sono cresciuta in una famiglia che non andava in chiesa, eppure eccomi qui. La fede andrebbe trasmessa, ma la Grazia di Dio è più potente, la chiamata arriva comunque. Tra noi abbiamo una Sorella del Vietnam, era buddista, poi ha avuto la chiamata» (Suor Marie Dorothée). Il monastero si erge solitario su un colle, nel nulla. C’è un silenzio claustrale che sedusse anche uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi, il russo Sviatoslav Richter. È ancora vivo il ricordo di lui che arriva a Notre Dame de Fidélité col pianoforte al seguito, studia, studia e preso da tanta ispirazione improvvisa dei concerti. Cosa è il silenzio tanto caro ai benedettini? «In questo monastero avvertiamo suoni e rumori della natura, e poco più. In Africa, invece, per sfuggire agli attacchi jihadisti, le nostre consorelle si sono trasferite in una città rumorosissima, ma non è un problema. Il silenzio va trovato dentro di noi, perché tu puoi essere anche in un deserto, ma se il cuore è inquieto non trai vantaggi dall’assenza di rumori. San Benedetto ha dedicato al silenzio un intero capitolo. Sa qual è a prima parola? Ausculta. È fondamentale ascoltare, per dialogare devi ascoltare altrimenti è una cacofonia. Noi siamo in presenza di Dio, dunque in perenne ascolto». Le monache di Notre Dame de Fidélité hanno firmato un’impresa rivoluzionaria, a maggior ragione – dunque – in quel mare di canti femminili l’omelia del monaco (a lui spetta questo compito) sembra un’invasione di campo. A quando l’omelia affidata alle religiose? «I nostri compiti e misteri sono complementari rispetto a quelli di monaci e sacerdoti. Ognuno ha il proprio posto», la replica. La Chiesa potrebbe essere più aperta nei confronti delle religiose? Volgiamo l’interrogativo a monache che hanno avuto l’audacia di fare ciò che nessuno aveva fatto prima di loro. «Audace è stata l’idea di un uomo, John Anderson», così si chiude la questione del rapporto Chiesa e donna. Le regole sono regole, «strumenti al servizio del bene comune: assolutamente prioritario. Qui tutto è bene comune, non abbiamo proprietà, che non vuol dire aver niente, ma condividere ciò ce sia ha. I bisogni propri non sono mai un buon punto di partenza».