il Giornale, 12 giugno 2023
Ritratto al veleno di Massimiliano Allegri
Il calcio non è solo teoria, e in fondo non lo è neanche la vita. Uno e l’altra sono, secondo il modulo Allegri, praticità. Pratico, pragmatico («Lo spettacolo si fa al circo»), presuntuoso, scabro ed essenziale come il suo giuoco e i versi di Eugenio Montale, conservatore sul campo e progressista fuori, irritabile (dalle sue parti si dice fumantino), arrogante (anche questa cosa di andarsene un minuto prima che finisca la partita perché lui ha già capito tutto...), ombroso, Allegri ma non troppo, sereno anche quando è condannato a vincere, Massimiliano Allegri, labronico di triglia, d’Acciughina e di cacciucco, cocciuto e orgoglioso, è un simpatico che fa di tutto per non esserlo. E sempre col sorrisino tirato, come una rasoiata da centrocampo. Personaggio al centro del calcio, uomo di carattere e allenatore di successo, il Conte Max, nato da famiglia operaia e rossa, quartiere rossissimo della comunista Livorno, è abituato a non essere amato.
Uno. Allegri non è mai stato davvero amato dai tifosi: il popolo milanista non si è innamorato di lui, quello bianconero lo ha sopportato per i successi («Vince sì, ma non gioca bene») e appena ha cominciato a perdere si sono spalancati i cancelli degli haters, vedi i social alla voce «Allegri».
Due. Non è mai stato considerato insostituibile da presidenti e società. Berlusconi all’inizio dubitava di lui: pensava fosse comunista, poi ha iniziato a dire «Non capisce un c...»; e, al netto dell’amicizia di ferro con Andrea Agnelli, non c’è un dirigente della Juventus antica e contemporanea con cui abbia legato: né Nedved, né Arrivabene, né Paratici, né Calvo...
Tre. Non ha mai davvero legato neanche coi calciatori («E questi vogliono giocare nella Juventus?»). Come fanno notare i maligni, quando i suoi segnano, non corrono mai verso di lui, piuttosto abbracciano una riserva. Allegri è accettato, rispettato, ma non amato. Media punti: alta. Empatia: zero.
Zero tattica e molto intuito - «Devo ancora trovare quello che mi spiega l’utilità di uno schema» -, già giocatore mediocre e senza rimpianti, prima trequartista, poi mediano basso e autostima altissima, Massimiliano Allegri è un allenatore bravo ma datato, in controtendenza rispetto a tutte le teorie moderne, i numeri, i tablet, gli algoritmi, le statistiche, i moduli («Ohh.. quanto valgono? ’oco o nulla»). Detto Massimiliano l’Arretrato, non perché sposta indietro la linea di gioco ma proprio perché è obsoleto, non studia e non si è mai aggiornato, soprattutto non ha colto il cambio di passo post Covid, Allegri ha la sua forza nelle trovate geniali, la più geniale delle quali è confidare nella genialità dei giocatori. Ma se alla fine è l’inventiva del singolo a risolvere la partita - domanda - a cosa serve un allenatore che prende sette milioni di euro all’anno più due di bonus legati ai risultati? Frase cult: «Il calcio è molto semplice: per vincere bisogna far bene le due fasi, difendere e attaccare». Allegretto, Allegro moderato, Allegro, Vivace, Vivo, Vivacissimo, Allegrissimo.
Allegri 1.0 molto bene, Allegri 2.0 - come si dice a Livorno, Minestra riscardata ’n fu ma’ bona - molto male.
Poi, certo: Massimiliano Allegri è bravo a gestire il materiale umano fornito dalla società per cui lavora (da cui l’insulto «aziendalista» o peggio ancora «gestore»: nel senso che fa quel che può con quel che ha). La brillantissima carriera di Mister Allegri (sei scudetti di cui cinque di fila, coppe, coppette e due Grandi tirate d’Orecchie) parla da sé, e Chapeau. Ma come tecnico resta il portabandiera di un calcio d’antan, pensato da uno che giocava sulla strada (e nel Gabbione sulla spiaggia di Livorno, certo: e infatti nel piccolo, in quel camposanto di cemento, senza schemi, vinceva tutti i tornei...), l’alfiere dei «risultatisti» contro i «giochisti», quello che in una partita urlò didascalia di un Mister No la frase tanto banale quanto mortificante: «Fate girare la palla fino a quando trovate un buco». Ci credo che uno come Arrigo Sacchi non lo può vedere.
«Ci vuole un po’ di halma».
Forse ad Allegri, troppo calmo per giocare un certo calcio, manca una cosa - come gli ringhiò una volta dopo una sostituzione un po’ codina Carlitos Tevez, attaccante senza paura né tatto ossia il coraggio. «Cagooooon!». E tutte le regole si infransero sul cappottino a bordo campo di Allegri.
Regole di Massimiliano Allegri. «Alli zoppi... pedate nelli stinchi». Se incontri Luciano Spalletti picchia per primo che picchi du’ volte. Mai discutere con Lele Adani. Mai fidarsi delle giovani promesse. Se proprio devi buttarne uno nella mischia, buttaci Mandukic. Mai, ma mai, lasciare la comfort zone di Torino, che è un po’ come Livorno, dove puoi passeggiare senza che nessuno ti rompa i coglioni (dubbio: ma la storia che ha rifiutato la panchina del Real Madrid è vera?). Quando hai un problema tecnico o esistenziale vai a fare quattro chiacchiere con gli amici del «Bar Ughi», fra il mare di Livorno e i ricordi d’infanzia. E se l’indecisione non passa, nessun problema: quattro uomini in linea e un robusto centrocampo a sorreggere il gioco. #fiuuuu
Il calcio alla fine, come tutte le scienze inesatte, è soltanto una questione di punti di vista. Si parla di Juventus e di Allegri, e puoi dire: a) terzo posto sul campo, semifinale di Coppa Italia, semifinale Europa League. Oppure: b) spesi 700 milioni per essere settimi in classifica, fuori dai gironi di Champions, fuori dall’Europa League, fuori dalla Coppa Italia.
Incapace di andarsene dall’Italia (sul piano internazionale è un fantasma), inguaribile provinciale (Quattro Mori, le mura, il mare e le marine), però mondano, uno che apprezza i piemontesi di Gaja, i rossi toscani, le bionde del Sud o del Nord è uguale, malato di fig* (i fugoni, le due mogli, gli amori, gli amorazzi, i paparazzi, quando lo chiamavano Ambro, e comunque hanno sempre detto che lei era una cagacazz* di Serie A), permalosissimo (ha il gusto per la battuta ma non sopporta quelle su di lui), cavallaro della prima epoca, entrate altissime e uscite più o meno in pareggio (case, alimenti, ristoranti, quadri, purosangue, alla fine è uno che se la gode) e amante soprattutto della solitudine, Massimiliano Allegri, un uomo solo al comando, e oggi neppure più al comando, più che un allenatore è un maestro di vita.
«Corto muso». Il cazzeggio creativo. Il cavallo Minnesota. «Le parole le porta via ’r vento, le bicicrette i livornesi». «La magia o la possiedi o non la compri al supermercato». Ma soprattutto: «Nella vita ci sono le categorie: ci sono i giocatori che vincono le Champions e le perdono, giocatori che vincono i campionati e retrocedono, allenatori che vincono o non vincono, e se uno non vince mai ci sarà un motivo».
Molte certezze, un solo dubbio: ora che la storia dell’ex giovane di belle speranze con la Vecchia Signora rischia di morire - Oh i bej coronn! Aleghér!/ Oh i bej lumitt! Oh i pizzi - se Massimiliano Allegri si mette sul mercato, chi lo prende? Caro Max, devi stare attento. Come hai detto tu una volta: «I cavalli dopo un po’ che vincono si mandano a riposare al prato».
O sulle spiagge di Livorno.
Ma non preoccuparti, Mister. Ricordatelo sempre. «Il calcio è solo un gioco stupido per persone intelligenti».