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 2023  giugno 12 Lunedì calendario

Riflessioni sul negazionismo

È almeno dagli anni Novanta del XX secolo che il dibattito sul cambiamento climatico all’interno della comunità degli scienziati specialisti (unico terreno di dibattito possibile nella scienza) si è concluso con la dichiarazione che l’attuale riscaldamento globale è anomalo e accelerato rispetto al passato e dipende, con una confidenza e un consenso oltre il 90%, dalle attività produttive dei sapiens. Perché allora sta affiorando un rigurgito non di dubbi (lo scetticismo è il sale della ricerca scientifica), ma di negazionismo vero e proprio che arriva a mettere in discussione il metodo stesso, riportando tutto al rango di semplice opinione? Da dove nasce? Dove vuole arrivare?
Tutto nasce negli Usa alla fine della Guerra Fredda, quando alcuni scienziati precedentemente occupati nel programma atomico nazionale, di grande personalità e fieramente anticomunisti, si trovano progressivamente senza una occupazione specifica e con un nemico che andava piano piano scolorendo. C’era bisogno di conquistare nuove posizioni remunerate di rilievo, che trovavano nelle consulenze federali, e di un nuovo nemico, che identificavano nella salute dei sapiens e nell’ambiente. I nomi, tra i quali spiccano Frederick Seitz e Fred Singer, sono sempre quelli: li ritroviamo in tutte le storie che seguono.
Il casus belli sono le ricerche scientifiche che, fino dagli anni Cinquanta, mettono in luce la correlazione diretta fra il cancro ai polmoni e fumo di sigaretta. E, dagli anni Settanta, anche con il fumo passivo, svincolando la malattia dalla decisione libera dell’individuo di fumare oppure no. A quel punto iniziano le battaglie legali contro le major del tabacco, che assoldano quegli scienziati per un lavoro di controinformazione pseudoscientifico avvalorato dalla loro precedente autorevolezza in altri campi. E i mezzi di comunicazione decidono colpevolmente di prestare fede ai dubbi mercanteggiati da questa lobby, trincerandosi dietro il principio di equilibrio informativo, principio che in scienza ha ragione di esistere quanto la favola di Cappuccetto Rosso: non si danno la stessa importanza e lo stesso peso informativo alla scienza certificata e a quella prezzolata e non verificata. In questo modo si intimidiscono gli organi di controllo e le vittime, che riescono a organizzarsi solo a partire dagli anni Novanta nelle prime class actions di successo: si sono guadagnati almeno 40 di profitti.
Lo stesso accade per le piogge acide, un problema ambientale che aveva portato a bruciare letteralmente le foreste nordamericane e scandinave negli anni Settanta. In questo caso la ricerca scientifica aveva identificato nello zolfo il chiaro e solo responsabile, ma desolforare gli impianti di produzione di energia statunitensi era oneroso e avrebbe comportato una riduzione dei profitti, ragione per cui i negazionisti si sono messi all’opera per insinuare il dubbio che non fosse quello il meccanismo, tirando in ballo fenomeni particolari e, in sostanza, facendo perdere tempo alla regolamentazione del settore.
Sul Ddt le cose sono andate peggio: ancora oggi ci sono “scienziati” che, al di fuori del campo delle riviste certificate, criticano il bando del Ddt, perché così si sarebbero condannati milioni di bambini per le malattie nei paesi poveri. Colpevoli i democratici e i radicali statunitensi, influenzati surrettiziamente dagli ambientalisti fomentati dal libro di Rachel Carson Primavera Silenziosa (1962). Nel libro si mettevano in luce i danni micidiali che i pesticidi stavano recando agli uccelli e agli altri viventi, facendo emergere che se qualcuno fosse costretto a scegliere su chi far rimanere in vita sul pianeta fra i sapiens e le api, la scelta sarebbe immediata e irrevocabile: gli ecosistemi possono fare a meno dei sapiens, ma non degli insetti. Si è poi scoperto che le zanzare si “adattano” al Ddt e che questo risultava inefficace già nelle seconde ondate di malaria susseguenti alle prime irrorazioni.
Nel 1995 Rowland, Crutzen e Molina vincono il Nobel per la chimica per aver scoperto il meccanismo di impoverimento dell’ozono che lacerava l’atmosfera causando il cosiddetto buco dell’ozono. E attribuendone la responsabilità al cloro contenuto nei Cfc, utilizzati come propellenti nelle bombolette spray e come additivi nei refrigeratori. Per anni i negazionisti avevano tentato di impedire quella rapporto causa–effetto, per proteggere gli interessi delle corporation che fabbricavano Cfc, obbligate poi a cessare la produzione e al bando dei Cfc solo dopo anni di estenuanti trattative a Montreal (1987). Anche in questo caso la scienza certificata aveva correttamente previsto tutto, compreso il fatto che con il bando gli strappi si sarebbero ricuciti, cosa che si completerà fra il 2040 e il 2066.
E oggi tocca al cambiamento climatico, in una guerra senza quartiere che vede protagonisti anche organi senza alcuna autorevolezza scientifica, in cui appaiono pochissimi scienziati, quasi sempre non specialisti, e molti signor nessuno (nella diramazione italiana perfino un sommelier!), approfittando dell’analfabetismo funzionale del 47% degli italiani e dell’idea, tutta giornalistica, che sulla scienza si deve discutere anche fuori dai circoli deputati. Oppure reclutando scienziati pure autorevoli, ma non specialisti, che danno la colpa del cambiamento al sole, mentre i dati Nasa dicono esattamente il contrario, oppure sostengono che è sempre stato così e l’uomo non c’entra nulla. Posizioni però sostenute non sulle riviste scientifiche peer reviewed, dove avrebbero un senso anche se scettiche, ma nelle interviste a giornalisti compiacenti che si sono occupati fino al giorno prima di cronaca nera o di costume.
Creando così una confusione generale che è il vero obbiettivo: i negazionisti non vogliono proporre una verità scientifica alternativa, che non esiste in nessun dato, ma dimostrare che il dibattito è ancora aperto e che la scienza non è unanime. Proprio quando sono ormai anni che il consenso sule riviste scientifiche a proposito del ruolo forzante dell’uomo nel riscaldamento globale è superiore al 97%. L’obiettivo è impedire ogni forma di regolamentazione del libero mercato, vista come figlia e madre di quel comunismo che i negazionisti ancestrali volevano combattere. Ideologia pura, in base alla quale si bollano paradossalmente come ideologici gli ambientalisti “verdi fuori e rossi dentro” (espressione non a caso coniata proprio negli Usa in quegli anni ruggenti). Oggi il comunismo è scomparso, ma il nemico è diventato l’ambientalismo: per questo si alimenta un vento oscurantista che tende a ridurre tutto a opinione sulla quale è possibile discettare. E perché devo fare sacrifici o redistribuire ricchezza ai Paesi poveri, quando gli scienziati non sono nemmeno d’accordo fra loro?
La massimizzazione dei profitti, scaricando costi sociali e ambientali, e il mercato senza regole, questa la vera religione, altro che quella di Greta o di Ultima Generazione. E non è un caso che si riscontri un vero livore contro questi ragazzi, alimentato da un’ipocrisia indecente, additando loro come nemici e alzando una cortina fumogena attorno ai veri responsabili. La crisi ambientale mette a nudo i limiti intrinseci del sistema economico capitalista che non riesce a trovare un rimedio nel libero mercato perché il capitale naturale non è infinito: se Marx avesse messo la questione ambientale nel giusto conto, le sue previsioni si sarebbero rivelate più azzeccate. Il banchetto è finito, è arrivato il conto e non serve a nulla ignorare il cameriere o additare lui come responsabile del prezzo salato. —