la Repubblica, 12 giugno 2023
Il potere di Vespa
Stai a vedere che prima o poi Giorgia Meloni lo fa presidente della Repubblica Bruno Vespa, 78, il Gran Consacratore di quel Potere da cui a sua volta è stato consacrato in questo fine settimana nella sontuosa fattoria turbovinicola di Manduria. Fra Cernobbio e Davos, ma virata al Mezzogiorno con le sue vistose controindicazioni: occasione mondana, profittevole calamita, fiera delle vanità, giardino zoologico del comando e cerimonia di regime, la migliore cornice per ambientarvi qualsiasi pellicola, dal dramma sociale dei vicini sbarchi al rilancio del cinepanettone.
In quel gioiello del Cinquecento che è la Masseria “Li Reni”, amorevolmente e preziosamente riadattata come la bomboniera dell’azienda vinicola e della famiglia Vespa, sono giunti quest’anno la presidente del Consiglio e otto ministri, alcuni direttamente dall’aeroporto militare di Grottaglie con le blindate che sollevavano nugoli di polvere; un paesaggio di luce e splendidi colori, appetiti insaziabili, la piscina scavata nella roccia, mutui riconoscimenti sotto i gazebi, società partecipate e monsignori, cibi stellati, alta densità di scalatori sociali per metro quadro, poltroncine a forma di cactus, sintomatico trasbordo dalla Terza alla Quarta Camera en plein air.
Lui, Bruno, come l’ha famigliarmente chiamato Meloni durante l’intervistona, ha dato vita, perfezionato e regolato il format che quest’anno, oltre che sul trionfale numero dei governanti ruotava sulla magica e generica formula degli sponsor, rappresentati da una quantità di giovani manageresse decise e forgiatesi nelle più insidiose multinazionali, pallide silfidi taccutissime che l’evento ha combinato con pingui e sudati esponenti della politica locale, improbabili leghisti e fratellastri d’Italia e di Puglia, barbe, baffoni, occhialoni, rolexoni, governatoroni un po’ stropicciati ammessi a rendere omaggio al Signore della Festa e alla sua Augusta regina che per astuta dedizione ai particolari dell’ospitalità può legittimamente considerarsi degna erede di Maria Angiolillo,verso cui Casa Vespa nutre un’indubbiadevozione. Suite imperiali, fragranze fruttate nei saloni, fantasmagoria eno ed ego produttiva a sfondo dinastico, “il Bruno di Vespa”, “il Rosso dei Vespa”, il bianco “Donna Augusta”, perfino un passito, “Zoe”, dedicato alla cagnolina di famiglia, anche se al momento a differenza degli altri indisponibile sui treni, gli aerei, a Montecitorio e perfino a Buckingham Palace. A tratti, specie nella più meticolosa voglia di sorprendere, sembra quasi di cogliere un chedi berlusconiano, per quanto il traguardo del lusso sia stato conquistato con una accelerazione democristoide. Fatto sta che all’imbrunire veniva sollevato l’ideale ponte levatoio, un efficiente servizio di navette rispediva a casa politicume, giornalisti, intrusi e nel feudo Vespa veniva allestita la liturgia della cena esclusiva, dal latino ex-claudo, chiudo fuori, possibilmente a chiave. Qui, nel Sancta Sanctorum dell’informalità sovrana, Meloni, Salvini e gli altri hanno fatto i loro numeri a beneficio dei Vips sfoggiandosperimentata umanità recitativa e intrattenendo con aneddoti e scomode verità sul Pnrr.
Tali fasti hanno dunque connotato il Vespismo mandurione modello Casa&Bottega con implicito collegamento promozionale ed endemico prolungamento nel Tg1, fenomeno così antico, compatto innervato in Rai da sfidare a viso aperto Fnsi, Laganà, Usigrai e Bria. L’anno scorso, prima delle elezioni i ministri convenuti al “Forum in Masseria” erano stati cinque, ma quando si dice il fiuto ecco che l’ospite d’onore, alla destra del king era apparsa proprio Meloni in abito lungo e già così carica da annunciare la comparsa in zona di una varietà di ciliegia cui era stato dato il nome di Giorgia, «ma non so se in mio onore» aveva precisato in umiltà.
La premier si fida molto di Vespa, ne accetta i consigli, forse pure sollecitandoli su questioni di pace e guerra. Un sito in egual misura misterioso e avventuroso a nome “Dissipatio” ha aggiunto che egli è l’eminenza grigia, il Gianni Letta, il padre Giuseppe di Giorgia-Richelieu. Su questi eccelsi e insieme reconditi ruoli è difficile dire, ma restando con i piedi per terra – che a loro volta qui in Italia paiono chiamati a una irresistibile manfrina – colpiva il tono lapidario della smentita scolpita dal Principe dei talk a proposito del pranzo per i suoi 60 anni in Rai allorché, scrisse Dagospia, Meloni, fumatrice assatanata, avrebbe spento una cicca nel tastevin sul tavolo: «Giorgia Meloni è una signora e non fuma a tavola».
Sarà. Quanti cicli di potere ha accompagnato, Vespa, e quanti leader ha cresciuto nel suo salottone di frementi ambizioni e ingegni subliminali: il risotto di D’Alema, il Contratto di Berlusconi (che gli ha presentato trenta libri!), la scommessa condonata a Renzi, il Ponte e ri-ponte di Salvini... Dovessero approssimarsi le prospettive quirinalizie sarà anche il caso di ricordare che nel 2020 creò quello della Nazione, “Terregiunte”, uve di Amarone e Primitivo. E sempre al vino si torna, un brindisi, un singhiozzo, un riflesso di straniante meraviglia.