Corriere della Sera, 12 giugno 2023
Biografia di Kais Saied
Un conservatore rivoluzionario che voleva «ripulire» la democrazia tunisina dalla «corruzione dei partiti». Si è invece imposto come dittatore populista in nome della salvezza nazionale, senza comunque risolvere la crisi economica endemica. Questo è Kais Saied, il 65enne presidente della Tunisia che 12 anni fa si propose al mondo come motore primo delle «primavere arabe». Eletto nel 2019 col 75% dei suffragi, sin dall’inizio Saied lasciò capire che sarebbe stato un leader atipico, in alternativa ai movimenti e personaggi assurti alla guida della politica tunisina dopo la defenestrazione quasi indolore di Zine el-Abedine Ben Ali a febbraio 2011.
Giurista e professore di diritto costituzionale all’università di Tunisi, abituato a parlare ai suoi studenti con la flemma e il vocabolario del cattedratico isolato nella torre d’avorio dell’accademia, Saied riuscì a incantare le folle grazie alla sua fama di incorruttibile e soprattutto con la promessa che avrebbe fatto barriera contro il nepotismo e la corruzione imperante nei circoli legati al potente partito religioso Ennahda dei Fratelli Musulmani.
«Sospendo la democrazia, ma sarà solo per un breve periodo. Presto vi presenterò la road map della rinascita», sostenne a luglio 2021 per legittimare ai tunisini la scelta di licenziare il premier in carica e congelare il parlamento.
Per qualche tempo il mondo libero rimase come in preoccupata attesa. Erano molti tra gli stessi intellettuali, giornalisti, politici e difensori ad oltranza della ricca tradizione laica tunisina a sospendere il giudizio e voler «concedere tempo a Saied per combattere i religiosi». Ma lo scorrere dei mesi vide via via il rafforzamento autoritario e verticistico del ruolo del presidente a scapito del legislativo, del giudiziario e in effetti di tutte le manifestazioni di dissenso da parte della società civile.
Già a settembre 2021 veniva sospesa la carta costituzionale votata nel 2014 e cinque mesi dopo era sciolto il Consiglio superiore della Magistratura, mossa seguita poco dopo dalla chiusura del parlamento. «Voglio una democrazia senza partiti, che sono all’origine delle nostre difficoltà. La fonte del potere risiede nel popolo», sostenne in sostanza per introdurre il nuovo progetto di riforma costituzionale, da lui stesso emendato, presentandolo a referendum il 27 luglio 2022. Ottenne il 90% delle preferenze, ma alle urne andò solo il 30,5% degli aventi diritto.
Quattro mesi dopo alle elezioni parlamentari, dove i candidati potevano presentarsi unicamente come singoli senza alcun simbolo di partito, il tasso di partecipazione precipitò ulteriormente al 9%.
L’eclissi della democrazia non ha visto peraltro soluzione ai problemi economici che attanagliano il Paese. Da oltre un anno si assiste a sporadiche manifestazioni di protesta nelle piazze. Saied replica additando le responsabilità a mai chiariti «poteri occulti» che tramerebbero ai danni della Tunisia. In febbraio le sue accuse sono state per i migranti africani che sarebbero manovrati per destabilizzare il Nord Africa arabo. E comunque l’arresto lo scorso 17 aprile di Rachid Ghannushi, leader storico del partito islamista Ennahda, ha visto solo poche manifestazioni di dissenso: tuttora, per molti tunisini, la causa maggiore delle difficoltà è da imputare più ai gruppi islamici che a Saied.