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 2023  giugno 11 Domenica calendario

Intervista ad Adil Tantaoui,uno degli uomini torutrati dai poliziotti a Verona

Signor Adil Tantaoui, cosa ricorda del giorno delle torture?
«Ricordo tutto. Erano le otto di mattina del 26 ottobre. Io e mia moglie Elena vivevamo allora in una casa abbandonata, vicino al Bar Bauli, in via Perlar a Verona. Mi ero svegliato presto, stavo camminando nel parco che c’è lì davanti. Un ragazzo italiano mi ha chiesto una sigaretta, ma io non l’avevo. Lui ha preso un bastone e mi ha colpito sulla testa».
Chi ha chiamato la polizia?
«Sono stato io. Mi usciva il sangue, ero incredulo. Io quella persona non l’avevo mai vista prima in vita mia. Ho chiamato la polizia per chiedere aiuto. Non pensavo che sarebbe finita così».
In un ufficio legale di Milano, accanto all’avvocatessa Rania Maadani, c’è una delle cinque vittime dei pestaggi nella questura di Verona. Adil Tantaoui ha 37 anni, ha lavorato come cameraman e come magazziniere. Vive in Italia da sette anni, è sposato con una donna italiana. È incensurato. Poche storie hanno il potere di raccontare questi tempi odiosi come la sua.
Cosa è successo quando è arrivata la polizia?
«Hanno lasciato stare il ragazzo italiano, ma hanno portato via me. Non mi hanno chiesto neanche i documenti, non hanno voluto sapere niente. Un dottore del 118 mi aveva appena medicato la testa. Gli agenti mi hanno caricato in auto e subito uno dei due, quello pelato, ha iniziato a insultarmi: “Arabo di merda! Marocchino te ne devi andare di qua!».
Quel poliziotto è stato identificato. È l’assistente capo Loris Colpini della Squadra Volanti. Lei cosa ha pensato?
«Io ho pensato che ci sono arabi buoni e arabi cattivi, così come ci sono italiani buoni e italiani cattivi. E ammetto che, a un certo, dopo l’ennesimo insulto, gli ho risposto: “Tu sei un italiano di merda”. Ero nervoso».
È stato picchiato nel tunnel del parcheggio?
«Mi hanno preso a calci nelle gambe. E poi mi hanno strappato dalla testa le medicazioni. Ma il peggio è stato dopo».
Cosa è successo?
«Stavo male. Mi hanno tolto tutti i vestiti e mi hanno buttato per terra nella stanza degli arrestati in mutande. Senza mangiare, senza niente. Tutto il giorno e tutta la notte. Sono svenuto».
Sempre in mutande?
«No. A un certo punto un altro poliziotto, uno che non avevo mai visto, mi ha portato i jeans e la maglietta».
Cosa è successo il giorno dopo?
«Mi hanno caricato su un’altra auto della polizia, questo volta erano due agenti gentili, una donna e un vecchio. E con loro ho fatto il viaggio fino al Cpr di Torino».
Il Centro per le espulsioni di Torino. Ma lei essendo sposato con una donna italiana non può essere espulso. Lo sapeva?
«Questo l’ho scoperto dopo, grazie ai miei avvocati. Sono stato per 35 giorni chiuso lì dentro. È proprio un carcere. Ti tolgono il telefono. La gente impazzisce. Il cibo è tremendo. È un casino. E poi ti danno delle pastiglie per calmarti e molti le prendono, ma io mi sono rifiutato».
Come ha fatto a non perdere la testa?
«Io l’avevo persa. Ero molto triste. Quando al giorno numero 35 la polizia è venuta a prendermi al cancello, io non sapevo il motivo. Ero preoccupato. Pensavo fosse per il mio permesso di soggiorno».
Era per l’inchiesta sui pestaggi nella questura di Verona?
«Sì. Ho spiegato tutto. Prima a Torino, poi una seconda volta a Verona».
Adesso come sta?
«Cerco di stare bene, ma è difficile. Non ho trovato in Italia quello che cercavo. Mio padre è un giornalista, io ho fatto il cameraman anche per la Rai, ma le cose per me non sono andate come speravo. Ho provato tanti lavori: il magazziniere, le fragole. Ma non ce l’ho mai fatta. Ora i miei genitori mi hanno spedito dei soldi per aiutarmi qualche mese, così ho preso una stanza in affitto alla periferia di Milano».
Lo rifarebbe? Richiamerebbe la polizia?
«Forse no. Non lo so. Non mi aspettavo un trattamento del genere».
È vero che lei era già finito sui giornali locali?
«Sì, una vecchia storia. Una volta ho trovato una borsa dimenticata alla stazione di Porta Vescovo. Era quella di un professore universitario, dentro c’erano un tablet e un computer. È stato normale restituirla».
Che idea si è fatto di quei poliziotti violenti?
«Ce ne sono anche in Marocco. Dipende sempre dalla persona».
Lei che persona è?
«Ho sempre cercato di stare tranquillo, fumo se ho le sigarette, mangio quando posso mangiare. Ho chiamato la polizia perché ero stato aggredito e avevo bisogno d’aiuto». —