il Giornale, 11 giugno 2023
Il miracolo dei fratelli salvi nella giungla colombiana
«Un miracolo». Lo gridano increduli i soldati colombiani che, guidati da don Rubio, il leader degli indigeni di Araracuara, in piena Amazzonia colombiana, hanno trovato due bambine di 13 e 9 anni, Lesly e Soleiny, un piccolo di 4 anni Tien Noriel e Cristin, di appena 11 mesi al momento della scomparsa. I quattro fratelli per quaranta giorni sono riusciti incredibilmente a sopravvivere nella giungla proprio come Mowgli, circondati da ogni sorta di animali pericolosi, dai giaguari alle anaconde passando per i caimani, grazie alla conoscenza della foresta acquisita nella loro comunità indigena. «Miracolo», hanno gridato i soldati dell’unità Tap-1 che li hanno trovati anche perché quella era la parola in codice che avevano concordato in caso di ritrovamento. Unici sopravvissuti dell’incidente aereo di un Cessna precipitato nel sud della Colombia lo scorso 1° maggio uccidendo la loro mamma, il pilota e un leader della loro comunità indigena. A cercarli per oltre un mese in un’area di 320 kmq una massiccia operazione, ribattezzata Operación Esperanza, composta da 200 militari e centinaia di indigeni. Ma soprattutto coordinata da don Rubio, il leader indigeno che parla con gli spiriti e i demoni grazie a una cerimonia in cui beve ayahuasca, un’infusione di due piante allucinogene che i nativi dell’Amazzonia usano da secoli nei loro rituali. Giovedì don Rubio aveva garantito alla giornalista della rivista colombiana Semana, Salud Hernández-Mora: «Stasera li contatto, mi diranno dove sono i bambini e domani andiamo a prenderli». La reporter aveva parlato con don Rubio nel suo accampamento, vicino al Cessna precipitato. «Aveva celebrato un primo rito di ayahuasca, che non ebbe successo ma era convinto che il secondo gli avrebbe dato la luce agognata e che i demoni avrebbero finalmente accettato di rinunciare ai piccoli». Più realisticamente, secondo la viceministra per le politiche ambientali colombiana Sandra Vilardy, i bambini sono riusciti a sopravvivere grazie agli insegnamenti di nonna Fàtima, grande esperta della riserva di Araracuara. Nonostante un annuncio frettoloso del presidente colombiano Gustavo Petro di un loro ritrovamento già il 18 maggio scorso, i soccorritori non hanno desistito mai. «È un mistero che ci ha sorpreso tutti perché era una zona che avevamo passato palmo a palmo», dice un soldato che poi aggiunge, raggiante: «È un segno di speranza e di vita. Una grandissima emozione per noi che abbiamo passato settimane a cercarli». Fondamentali nelle ricerche sono stati i cani molecolari. Uno in particolare, il pastore belga malinois Wilson, di appena sei mesi, è stato decisivo per il ritrovamento dei quattro piccoli nel rifugio a tre chilometri dal Cessna precipitato e da ieri, in Colombia è già considerato un eroe nazionale. Purtroppo Wilson si è poi perso a sua volta nella foresta amazzonica. La speranza di tutti è che possa essersi solo allontanato ma il timore è che possa avere incrociato un giaguaro o un’anaconda. Del resto anche altri tre cani impiegati nelle ricerche sono al momento desaparecidos. Ieri mattina i piccoli sono stati trasferiti all’ospedale militare di Bogotá per i controlli di routine ma, a parte un po’ di disidratazione, le punture tipiche delle zanzare dell’Amazzonia e a essere logicamente sottopeso, stanno bene, a tal punto da ricevere il ministro della Difesa colombiano Iván Velásquez e il presidente Petro per le foto di rito per celebrare il miracolo.Paolo Manzo
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Si chiamava Operaciòn Esperanza, e per una volta nessuno è morto disperato. I quattro bambini che sono sopravvissuti per trentanove giorni nella foresta tra Guaviare e Caquetà, al margine dell’Amazzonia, lo hanno fatto perché la più grande, si fa per dire, la tredicenne Lesly Jacobombaire Mucutuy, di 13 anni, si è presa cura dei fratellini – Soleiny, di anni nove, Tien Noriel, di anni quattro, e Cristin Neriman, che ha compiuto un anno il 26 maggio, e quel giorno il Comando delle forze armate aveva invitato l’intera Colombia a festeggiare il compleanno con una preghiera – come faceva già nella casa di Villavicencio, quando la madre, morta poi nell’incidente aereo, doveva lavorare e lei preparava farinitos e casabitos. Quindi la piccola guerriera Lesly ha fatto da mamma ai suoi fratellini, senza perdersi d’animo. Ad aiutarla, e su questo tutti i media colombiani insistono molto, lo spirito indigeno che certo aiuta quando sei in una delle foreste più dense e vergini del Sudamerica. «Le donne indigene sono molto bellicose», taglia corto Fàtima Valencia, la nonna materna dei quattro, senza nascondere il suo orgoglio indio. I quattro piccoli Robinson Crusoe camminavano incessantemente per la foresta, povera di alimenti ma ricca di pericoli, di terreni instabili, di pioggia incessante e di fango cattivo, di scorpioni, di ragni, di serpenti, di felini per i quali i quattro ragazzini sarebbero potuti essere facile preda. Indossavano camicie leggere, jeans rotti, ai piedi niente scarpe e bende improvvisate per coprire le ferite e le vesciche, Ma sono rimasti aggrappati alle loro piccole vite, camminando incessantemente, nutrendosi di quel poco che trovavano, ed era Lesly a distinguere quello che li avrebbe nutriti da quello che li avrebbe ammazzati. Nel frattempo disseminavano la loro via crucis di indizi: pannolini, asciugamani, un paio di forbici, delle scarpe da tennis, il tappo di una bottiglia. Mettevano a frutto, soprattutto i più grandi, la loro «conoscenza ancestrale» trasmessa dalla nonna, che come dice John Moreno, leader indigeno guanano del Vaupés, «è sapiente nella protezione indigena di Araracuara». «A salvare i quattro bambini sono stati i messaggi della propria comunità e, naturalmente, le conoscenze che hanno fornito loro in precedenza», sottolinea Sandra Vilardy, viceministra colombiana della politica e della normalizzazione ambientale. Gli indigeni hanno dato un grande aiuto alla caccia dei quattro ragazzini, in nome della storica collaborazione con le forze dell’ordine. Ogni sera, alla fine dell’ennesima giornata di ricerche infruttuose, si davano a celebrare un rito propiziatorio. I nativi masticavano mambe, la polvere delle foglie di coca, e bruciavano peperoncini, allo scopo di sviluppare quell’energia capace di mettere in fuga le tigri, i tapiri, gli altri animali potenzialmente pericolosi per i quattro pellegrini della giungla. Uno degli indigeni inoltre si metteva in comunicazione con un parente morto. Secondo le credenze della comunità amazzonica Yurapari ogni territorio è protetto da spiriti che si prendono cura dell’area. «I bambini sono in buone condizioni perché queste forze si sono prese cura di loro», spiega uno scout indigeno. Che sia vero o no in fondo a chi importa?
Andrea Cuomo