La Lettura, 10 giugno 2023
Gli indirizzi degli scrittori di Milano
Testori Giovanni, assente. Scerbanenco Giorgio, assente. Volponi Paolo, assente. Sereni Vittorio, assente... Nella classe di romanzieri e poeti che a Milano sono nati, o hanno vissuto, o hanno lavorato scrivendo opere capitali, l’elenco dei «non ricordati» è copioso e diffuso. E se camminando in città si può scoprire una targa che ricorda il passaggio di Stendhal (corso Venezia 51, anno 1800), nessun segno spiega che proprio lì vicino, a 200 metri di distanza, nel 1882 andò ad abitare Giovanni Verga, nell’ultima residenza del suo ventennio milanese, prima del ritorno a Catania. L’anno prima, a Milano aveva pubblicato I Malavoglia, e dall’appartamento di corso Venezia osservava gli scenari che sono diventati l’ambientazione della raccolta di novelle Per le vie.
Esiste una targa a presente e futura memoria nei palazzi dove nacquero o vissero Francesco Petrarca, Carlo Porta, Alessandro Manzoni, Arrigo Boito, Carlo Emilio Gadda, Dino Buzzati, Eugenio Montale, Antonia Pozzi, Lalla Romano; ma allo stesso tempo non c’è uno straccio di segno che individui le case milanesi di Clemente Rebora, Giuseppe A. Borgese, Ottiero Ottieri, Luciano Bianciardi, Giovanni Raboni, Franco Fortini, Vincenzo Consolo. Nel romanzo La città dei vivi, su un feroce delitto avvenuto a Roma nel 2016, Nicola Lagioia si interroga «se esista una persistenza fisica del male radicata nei luoghi». Tema evocativo e suggestivo: seguendo il percorso, ci si può chiedere se esista una persistenza fisica dell’ingegno letterario e della poesia. Oppure, tralasciando la metafisica della letteratura, ci si può limitare all’inventario.
Ecco, allora, l’indagine sulla memoria letteraria di Milano nella sua consistenza topografica, che «la Lettura» ha elaborato in base a un modesto proposito: esiste (almeno) una targa per ricordare che in quel determinato palazzo, per molti o per pochi anni, hanno lavorato Antonio Porta (al secolo Leo Paolazzi) o Dario Fo, Giuseppe Pontiggia o Sergio Solmi, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli o Luciano Erba, o i «milanesissimi» Franco Loi e Giancarlo Majorino? No (per questi autori e per molti altri), non esiste. La visualizzazione nelle pagine seguenti è il risultato (non esaustivo) di questa prima inchiesta, compilata incrociando ricerca (indirizzi di residenza degli scrittori) e verifica (esiste, in quegli stabili, una targa?). Le presenze possono essere consultate sulla mappa. I luoghi dimenticati invece, a parziale risarcimento, meritano un cenno. Alla fine, si scopre una memoria letteraria piena di buchi. La ricognizione dei luoghi obliati degli autori milanesi può partire dal parco Sempione.
Franco Fortini, via Legnano, 28. Fiorentino, per decenni docente a Siena, la sua memoria è molto legata alla città toscana: ma Fortini (1917-1994) si stabilisce a Milano dopo la guerra, e qui si sposa nel 1946. Proprio con un riferimento alla casa vicina al parco Sempione, Alberto Asor Rosa inizia l’articolo sul «manifesto» il giorno dopo la morte di Fortini: «Quando l’ho visto l’ultima volta, nella sua mitica casa di via Legnano a Milano, arrancava trascinandosi dietro gli strumenti della propria sopravvivenza...».
Paolo Volponi, via Revere, 1. Dalla casa di Fortini, attraversando il parco, s’arriva in una splendida strada alberata, via Revere. Qui, al civico 1, a fine anni Sessanta, Volponi (1924-1994) compra l’appartamento che sarebbe rimasto per sempre la casa milanese della sua famiglia. La figlia dello scrittore, Caterina, ricorda a «la Lettura» una lettera che suo padre scrisse a Pier Paolo Pasolini, raccontando della casa di via Revere e di quanto avesse piacere che i suoi figli crescessero a contatto con gli alberi e il verde del parco.
Se da casa Volponi s’attraversa a ritroso il Sempione, e si prosegue verso Brera, si entra in un museo all’aperto di storia letteraria. Ma molti indirizzi bisogna conoscerli, perché non c’è alcun segnale.
Giuseppe A. Borgese, via Pontaccio 12. Dal 1918 la famiglia Borgese, arrivando a Milano, dimora in uno stabile seicentesco, palazzo Crivelli. Borgese è titolare della cattedra di Letteratura tedesca all’università, poi (dal 1925) di Estetica. Sono anche gli anni dei romanzi Rubè (1921) e I vivi e i morti (1923). Gli ospiti che visitano la casa di via Crivelli lasciano la propria firma su una tovaglia di lino che la moglie di Borgese, Maria Freschi, poi ripassa a ricamo. Quella tovaglia diventerà un fragile e meraviglioso monumento alla cultura del Novecento.
Ottiero Ottieri, via San Primo, 6. Da palazzo Crivelli si percorrono cento metri, e s’arriva all’incrocio con via Solferino. Proprio all’angolo, nel 1947, Ottieri (1924-2002) trova alloggio in «una pensione per bohémien». È la prima residenza milanese dello scrittore che col suo trasferimento a Milano segna anche simbolicamente l’inizio di una corrente culturale, e cioè l’indagine del rapporto tra letteratura e industrializzazione. La figlia di Ottieri, Maria Pace, giornalista e scrittrice, ricorda che la famiglia ha cambiato varie residenze (via Kramer, poi via Vivaio), ma forse la casa dove sarebbe più giusto ricordare lo scrittore sarebbe quella di via San Primo 6, non lontano dall’altro parco del centro di Milano (oggi giardini Montanelli). In quel palazzo viveva anche Valentino Bompiani (ricordato da una targa) e aveva un pied-à-terre Alberto Arbasino.
Luciano Bianciardi, via Solferino 8. Appena girato l’angolo di via Pontaccio, in via Solferino, non esiste più il palazzo dove a metà anni Cinquanta trova una stanza il grossetano Bianciardi (1922-1971), luogo indimenticabile per chi ha amato La vita agra, al pari del bar che nella Brera popolare dell’epoca era il bar Jamaica (come ora). Nel romanzo Bianciardi parla del palazzo sulla «via risorgimentale al numero otto». Qualcuno l’ha poi identificato nello stabile di fronte, quasi identico, al 3. Ma in un’intervista televisiva itinerante del 1963, lo scrittore mostra il suo «vero» palazzo e dice: «Ora lo stanno abbattendo». Esiste però ancora a Milano uno stabile dove Bianciardi ha vissuto e lavorato, tra 1956 e 1964, al 2 di via Domenichino, in zona Fiera.
Giovanni Testori, via Brera, 8. Se da via Solferino si scende verso il centro città, superata la targa che ricorda l’abitazione di Lalla Romano, nessuna targa indica invece che al civico 8 di via Brera c’è stato per decenni lo storico studio di Testori (1923-1993). Tra gli archivi delle sue carte, spesso si incontra questa frase: «Questo quaderno appartiene a Giovanni Testori – via Brera, 8 Milano».
Ugo Foscolo, via della Spiga, 40. Continuando a camminare verso il centro antico di Milano, si passa davanti al palazzo di piazza della Scala 5, dove ora si incontra il bistrot di una famosa casa di moda: nessuna targa ricorda che qui, prima del trasferimento in corso Venezia, nel 1880 visse Giovanni Verga (1840-1922). E poco più avanti, allo stesso modo, nessuna indicazione segnala che in via Sant’Andrea, 1 (palazzo oggi demolito) e poi in via della Spiga, trascorse i suoi soggiorni milanesi Ugo Foscolo (1778-1827).
Lasciato il centro, poco più a Nord, in direzione della stazione Centrale, ci si può dirigere verso il quartiere Porta Venezia, zona di intensa memoria letteraria completamente trascurata.
Giorgio Scerbanenco, piazza della Repubblica, 25. Il gigante italiano della letteratura noir, a Milano vive in via Orti, via Plinio, via Eustachi. L’ultima casa di Scerbanenco (1911-1969) è in piazza della Repubblica: «Ma mio padre – racconta la figlia Cecilia – non era attaccato alle cose e neanche alle case. Forse allora il luogo migliore per ricordarlo sarebbe piazza Leonardo da Vinci 10, dove “viveva” il suo personaggio Duca Lamberti».
Giovanni Raboni, via San Gregorio, 53. A pochi isolati di distanza da piazza della Repubblica, si scopre questa casa dove ha trascorso la giovinezza uno dei più grandi poeti milanesi. Poco lontano dal «palazzo di Raboni» (1932-2004), in via Scarlatti 27, vive dal 1938 Vittorio Sereni (1913-1983), che a quella strada ha poi dedicato una famosa poesia nella raccolta Gli strumenti umani, e che in zona ha abitato anche in via Macchi 35 e in via Benedetto Marcello, 67. Nessuna di queste presenze è ricordata in alcun modo, come non si trova una targa sul portone di via Tadino 3, sempre in zona porta Venezia: qui, non lontano da dove è nato, nel 1913 viene a vivere Clemente Rebora (1885-1957) e qui scrive probabilmente le sue opere maggiori, prima della conversione. Da Porta Venezia si dipana infine un filo di meraviglia che conduce verso la periferia, perché nel 1967 proprio Raboni e Sereni si trovano a vivere nello stesso palazzo in zona San Siro, al 37 di via Paravia. Da lì sono comodi per raggiungere insieme lo stadio «Meazza», condividendo la passione per l’Inter. Raboni andrà via dopo un paio d’anni, mentre Sereni rimarrà sempre in via Paravia: in quel «palazzo dei poeti» che forse, almeno per questo, meriterebbe un ricordo.