il Giornale, 10 giugno 2023
Biografia di Isaac B. Singer
Prende il nome da krochmal, che in polacco significa «amido», perché lì, in via Krochmalna a Varsavia, una volta era pieno di lavanderie dove gli ebrei (anche e soprattutto quelli di malaffare) lavavano i loro panni sporchi. Al numero 10, abitava la famiglia Singer, e il rabbino Pinchos Menachem amministrava la giustizia nel Beth Din, mentre il suo figlio minore, Isaac Bashevis, ascoltava e guardava, riempiendosi le orecchie di storie e gli occhi di immagini. Scriverà infatti, molti anni dopo: «La mia casa paterna in via Krochmalna a Varsavia era una casa di studio, un tribunale, una casa di preghiera, un luogo dove si narravano storie e si celebravano anche matrimoni e banchetti chassidici. (...) Ho ascoltato da mio padre rabbino e da mia madre tutte le risposte che la fede in Dio può suggerire a chi dubita o cerca la verità. Nella nostra casa e in molte altre case ho capito che i problemi eterni erano più attuali delle ultime notizie che si leggevano su un giornale yiddish». A due passi da casa Singer, al numero 8, abita Keyla la Rossa, grandissima puttana e seduttrice che Isaac Bashevis ha immortalato nel romanzo omonimo ambientato all’inizio del ’900 e pubblicato a puntate, fra il ’76 e il ’77, sul quotidiano yiddish newyorkese Forverts. Il 10 novembre 2017, recensendo su queste pagine la prima edizione in italiano del libro, il nostro amico professor Marino Freschi, per dare, come si dice oggi, il mood di quel mondo in cui la massima aspirazione di Keyla, di suo marito Yarme e del loro compare Max è emigrare in Argentina per metter su un bordello, e in cui il delinquere assumeva contorni... sacri, annotava: «Si potrebbe risalire a quelle esperienze mistiche al margine dell’ebraismo tradizionale che predicavano la via della mano sinistra, la via del peccato per umiliarsi nel peccato, liberandosi dall’orgoglio luciferino, e per andare così purificati incontro all’Eterno». E sempre in via Krochmalna, e sempre all’inizio del ’900, torna, proprio dall’Argentina dov’è andato a far fortuna con metodi assai poco leciti, Max Barabander, il protagonista di Schiuma, che in yiddish è Shoym, vale a dire «Feccia», altro romanzo di Singer, anch’esso uscito su Forverts, nel ’67. Cronologicamente, tra Keyla la Rossa e Schiuma si colloca Max e Flora, altro romanzo di Singer uscito su Forverts nel ’72, finora inedito in italiano e ora proposto da Adelphi (pagg. 226, euro 19), «il secondo pannello della trilogia che l’Autore ha dedicato al mondo della malavita ebraica in Polonia e in Argentina prima della Grande Guerra», segnala la traduttrice Elisabetta Zevi nella «Nota al testo». E i tre libri li chiama «gangster novel», perché quello fu un autentico filone della letteratura yiddish, dalla seconda metà dell’800. Un filone poi vittima indiretta della Shoah e che, a tempo debito, venne appunto riscoperto da Singer. Che ne dite, vi va di fare un salto in via Krochmalna? Se sì, immaginate di essere grosso modo nel 1908, volgete idealmente le spalle al civico 10, cioè a casa Singer, e guardate davanti a voi. C’è il numero 11. Lì abita Meir Panna Acida, una specie di Padrino ebreo, con la moglie Leah Lingualunga, ex puttana diventata tenutaria di una catena di bordelli. Losco e pio, senza scrupoli e senza vergogna, temuto e riverito dalla polizia alla quale spiffera ciò che gli conviene, Meir un bel (cioè brutto) giorno riceve la visita inattesa di Max Shpindler, alias Mottele il Bastardo, e di sua moglie Flora, anch’essa ex prostituta, analfabeta ma brillante e attrice, decisamente mediocre. Max e Flora arrivano dall’Argentina per fare il pieno di ragazzine da avviare alla professione a Buenos Aires. Un’attività che frutta ancor più della loro pur fiorente fabbrica di borsette. Max si aggiunge alla lunga teoria degli over 40 singeriani fissati con il sesso e con i soldi e che hanno il dente avvelenato contro Dio. Fino al punto da ripromettersi: «Poiché Dio è cattivo, dobbiamo essere buoni per ripicca. Distribuirò cinquanta rubli ai poveri!». Gli Shpindler sono scesi all’Hotel Bristol perché se lo possono permettere e perché non vogliono più mischiarsi alla feccia, allo shoym di via Krochmalna. Ma per procurarsi la carne fresca che cercano quel passaggio è obbligato... Errore fatale. Quando a Max viene proposta Rashka, una quindicenne tanto bella e pura (nel corpo e nell’anima) quanto già sporcata dallo squallore che la circonda e pressoché schiava di una vecchia alla quale fa da badante, in lui scocca la scintilla: questa la tengo tutta per me. E la scintilla provoca un incendio interiore. Perché occorre liberarsi di Flora, la quale nel frattempo ritrova un vecchio amore. Perché occorre procurare alla fanciulla dei documenti falsi per tornare con lei in Argentina. Perché occorre mettersi a distanza di sicurezza dalla sicura vendetta del padre della piccola. E soprattutto perché il Nostro antieroe commette un altro grave errore, diventando socio di un gruppo di anarchici che progettano di svaligiare una banca. Fra tanto rimuginare e organizzare, fra ripensamenti e sotterfugi, pentimenti e istinti omicidi e suicidi, nella testa di Max si scolpisce il vecchio detto yiddish: «dieci nemici non possono fare a un uomo il male che può fare a se stesso». E, nel suo delirio, continua a farsi del male. Il demone di via Krochmalna, come un irresistibile golem, ha ripreso possesso di lui. Sarà una morte annunciata a cambiare, forse, le carte in tavola per Mottele il Bastardo. Ma lui dovrebbe ricordarsi di un altro motto: «Quando l’uomo fa progetti, Dio ride».