Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 10 Sabato calendario

Orsi & tori

È come (ma speriamo di no) la guerra in Ucraina. Con alcuni territori che erano russi e dopo il crollo dell’Urss sono diventati ucraini e alcuni ucraini che sono diventati russi. Per arrivare alla guerra con l’invasione della Russia all’Ucraina ci sono voluti otto anni.


Nel 2014, apparentemente, tutto si fermò con il passaggio della Crimea alla Russia e a una serie di sanzioni decise dal presidente Barack Obama e dalla Ue. Poi, otto anni di apparente tregua.










La situazione attuale, già resa drammatica dalla guerra, appariva relativamente tranquilla sul piano del potere economico e commerciale. Lo schema appare essere analogo se non identico a 14 anni fa. Guerra, non più fredda, fra gli Stati Uniti (che trascinano la Ue) e questa volta la Cina. Il caso evidente, tutt’altro che isolato, che coinvolge direttamente l’Italia, la volontà della Cina di prendere il controllo


della Pirelli, nell’anno in cui arriva a scadenza il trattato di adesione dell’Italia al grande progetto cinese della Via della seta, ma anche dell’irrigidimento della politica Usa verso Pechino, certamente anche in vista delle prossime elezioni americane, avendo i repubblicani assorbito molto dell’ideologia trumpiana.


Ricorderete l’immagine lanciata tre settimane fa dal consigliere per la sicurezza statunitense, Jake Sullivan, secondo cui l’economia mondiale non sarà più una architettura limpida come il Partenone, ma assolutamente variegata e frastagliata come un’opera di Frank Gehry; come dire che è definitivamente finita la globalizzazione, con relazioni economico commerciali che alimentavano rapporti armonici fra i vari paesi e in particolare fra il mondo occidentale Usa-Ue e la Cina, e al suo posto c’è il multilateralismo, tendente a isolare la Cina. E pur vero che alle parole di Sullivan hanno fatto da contraltare quelle del segretario al tesoro ed ex capo della Fed, la paciosa Janet Yellen: «L’America sta invocando lo stesso ordine internazionale che ha reso possibile la trasformazione economica della Cina con la diplomazia del ping pong di Henry Kissinger e Richard Nixon». Insomma, nel governo degli Usa non ci sono posizioni assolute di guerra commerciale (e non solo) alla Cina e chi è responsabile dell’andamento economico, come la Yellen lancia segnali di distensione. Ma non bastano alla Cina, che peraltro sta attraversando un momento non felicissimo dal punto di vista economico.




Per avere una visione più chiara delle posizioni cinesi, in particolare verso l’Italia, all’interno del numero oggi in edicola di MF-Milano Finanza si può leggere una interessante intervista al nuovo ambasciatore cinese a Roma, Jia Guide. Le relazioni italo-cinesi sono infatti in questo momento chiave per due motivi:


1) per il fatto che l’Italia è l’unico paese del mondo occidentale ad avere aderito al progetto della Via della Seta, con un accordo in scadenza a fine anno e proprio per questo la presidente Giorgia Meloni è stata invitata e ha accettato di andare in visita ufficiale a Pechino fra qualche mese, facendo diventare centrale la relazione di Pechino con l’Italia un po’ per tutto il mondo occidentale;


2) per la questione Pirelli, cioè per la volontà espressa solo poche settimane fa della società Sinochem-ChemChina, che possiede il 37% (più un altro 9% posseduto dal Silk Road fund) del gruppo guidato con abilità da Marco Tronchetti Provera, di voler assumere la gestione del gruppo di pneumatici; con il piccolo dettaglio che gli Usa hanno incluso proprio ChemChina fra le società indesiderate, con la conseguenza che i prodotti Pirelli sono sottoposti a dazi potenzialmente insostenibili in Usa. E pensare che Tronchetti Provera, per rafforzare Pirelli e aprirsi il mercato cinese, aveva fatto un’operazione capolavoro con ChemChina, facendola entrare al 37 + 9%, con il vincolo statutario per cui né la sede né la tecnologia di Pirelli poteva essere trasferita dall’Italia. Dopo questo accordo di alcuni anni fa, è successo che ChemChina è stata assorbita da Sinochem, società di fatto diretta del governo e che appunto il clima è cambiato, per cui alla scadenza del patto parasociale fra i cinesi e Camfin, core shareholder di Pirelli da oltre 30 anni, Sinochem ha preteso di poter nominare l’amministratore delegato: Tronchetti è diventato vicepresidente esecutivo ed è riuscito, al momento, a far nominare amministratore delegato Giorgio Bruno, che tuttavia potrà restare in carica per tre anni.




Per questo motivo, «nell’interesse delle due parti, Camfin si è dichiarata pronta a definire insieme ai soci cinesi un percorso per garantire l’indipendenza di Pirelli e una via di uscita di Sinochem, mentre il mantenimento della partecipazione di Silk Road fund sarebbe, secondo Camfin, ben gradito. In questa prospettiva, Camfin ha dato la massima disponibilità a sedersi a un tavolo con i soci cinesi».


Ma Pirelli ha fatto anche sapere che di recente la società ha ricevuto numerose comunicazioni da Sinochem con istruzioni e direttive riconducibili alle linee dettate dal Congresso del Partito comunista cinese o dalla Sasac, agenzia attraverso la quale il governo cinese esercita il controllo su Sinochem, mentre ChemChina non aveva questa dipendenza diretta prima di passare sotto il controllo della holding chimica governativa.


Per questo motivo Pirelli ha mandato la documentazione all’ufficio del Golden power, cioè all’organo governativo che può valutare come l’autonomia e l’italianità della società condotta finora da Tronchetti stiano venendo meno, in contrasto con gli accordi firmati con ChemChina-Sinochem (appunto alcuni addirittura inseriti nello statuto, immodificabile se non possedendo il 90%). Era questa la sicurezza di Tronchetti, proprio perché, come minimo, quel 14% posseduto da Camfin impediva qualsiasi modifica statutaria e quindi l’intrasferibilità di Pirelli e della sua tecnologia. Ma c’era il patto di sindacato per il consiglio d’amministrazione e l’ad e su questi due punti Sinochem ha forzato.




Naturalmente gli Usa non aspettavano altro che un atto del genere, visto che ChemChina è inserita nella lista delle società non gradite.


Si è creato in questo modo un problema in più per la presidente Giorgia Meloni, che dovrà decidere attraverso la procedura del Golden power entro poche settimane, accelerando un orientamento che diventerà in ogni caso pregiudizievole per il suo programmato viaggio a Pechino nei prossimi mesi. Infatti, con abilità e saggezza, la presidente Meloni, quando dagli Usa sono arrivate le richieste affinché l’Italia uscisse dal trattato della Via della seta, aveva dichiarato che c’era tempo per decidere e che in ogni caso non avrebbe voluto cambiare le buone relazioni con la Cina, anche perché, come segnala l’ambasciatore Jia Guide, da quando il 22 marzo del 2019 il presidente Xi Jinping, giunto a Roma in visita ufficiale, firmò il Memorandum con il primo ministro Giuseppe Conte, l’integrazione commerciale è salita del 43%. Con crescita significativa dell’export italiano, che tuttavia resta ancora inferiore a quello della Cina in Italia, contenendo quest’ultimo, sostiene l’ambasciatore, anche materie prime.




PUBBLICITÀ




Con la visita del presidente Xi a Roma, che faceva seguito alla visita nel febbraio del 2017 del presidente Sergio Mattarella a Pechino, era stata raggiunta un’intesa e un’armonia importante per due paesi profondamente distanti per dimensioni e potenza, ma certo legati da molta storia, per la quale basterebbe ricordare Padre Matteo Ricci e Marco Polo e prima ancora l’Impero romano e di quello cinese. Qualcuno pensa che quando i cinesi, politici e non, ricordano questa storia lo facciano per ragioni strumentali. Può essere, ma citano realtà storiche e soprattutto citano, mostrando di non dimenticarlo, che nel dicembre del 1978 l’allora ministro del commercio estero, Rinaldo Ossola, ex-direttore generale di Bankitalia, garantì alla Cina, allora guidata dal vicepresidente Deng Xiaoping («la Cina paese comunista ma con strumenti capitalistici»), un prestito stand-by di miliardi di dollari perché il grande paese dominato dalla miseria potesse comprare prodotti italiani. Come ho già scritto in queste pagine, il ministro Ossola, un ministro del commercio estero e non un capo di stato, fu ricevuto ben tre volte in una settimana dal grande Deng Xiaoping. In quella circostanza potei intervistare brevemente il vicepresidente Deng e poi potei organizzare la lunghissima intervista di Oriana Fallaci allo stesso vicepresidente Deng.




PUBBLICITÀ




Ossola aveva avuto l’intuizione e la grande sensibilità di aiutare un popolo che nella stragrande maggioranza soffriva ancora la fame. Fu quello un merito che l’Italia non deve dimenticare. Oggi la Cina è la seconda potenza al mondo e potrà presto diventare la prima, prospettiva che angoscia gli Stati Uniti, anche per la capacità cinese di essere competitivi sul piano tecnologico, avendo avuto, per esempio, la fortuna che per convenienza economica la prima società digitale americana, Apple, fino a pochi mesi fa ha fatto costruire la stragrande maggioranza dei suoi fantastici cellulari in Cina. Che cosa poteva pensare la stessa Apple ma anche, e soprattutto, il governo americano, che la Cina non sarebbe stata in grado di assorbire le tecnologie di Apple e di tutti gli altri leader digitali internazionali con ben 1,5 miliardi di abitanti e quindi con la possibilità di una selezione dei cervelli come in nessun altro paese?


È vero, la Cina è un regime comunista che con le modifiche introdotte nella costituzione dal presidente Xi Jinping ha eliminato il limite dei due mandati classico della democrazia americana e in generale occidentale. L’alternanza è un fattore fondamentale della democrazia, ma nel caso degli Usa, con mandati di quattro anni, se il presidente in carica non riesce a essere rieletto (come per fortuna del mondo è successo a Donald Trump) il paese è sicuramente penalizzato rispetto al paese che può avere la stessa gestione per più anni.




PUBBLICITÀ




Non è banale osservare che, in imitazione della democrazia americana che prevede massimo due mandati, non solo la Cina, ma anche la Russia avevano adottato questo schema. Il presidente Xi Jinping ha intanto cambiato la costituzione, giusto o sbagliato che sia ma comunque con vantaggio competitivo su gli altri paesi, mentre in Russia il presidente Vladimir Putin è di fatto arrivato al quinto mandato, avendo attuato il trucco palese di far diventare presidente dopo i suoi due primi mandati l’ex-primo ministro Dmitrij Medvedev, diventando lui stesso primo ministro per cinque anni per poi ricandidarsi e giungere al quarto mandato come presidente e al quinto come capo assoluto.


Tutto ciò vuol dire che il passaggio dalla dittatura alla democrazia non è semplice e che la democrazia impone maturazione della coscienza dei cittadini. E anche dell’atteggiamento dei paesi che hanno le democrazie più consolidate, anche se negli ultimi anni un po’ traballanti, se arrivano al potere uomini che la pensano come Trump.




Ma mentre si sviluppa il confronto politico-democratico, c’è già una sequela di atti ostili o collaborativi sia da una parte dei paesi democratici che dalla Cina, essendo inutile al


momento la vicenda russa, almeno fino a quando non finirà la guerra.


Di livello contrapposto sono per esempio l’alleanza di STMicroelectronics, la jv fra lo stato italiano e francese per i microchips, con la cinese Sanan Optoelectronics: un’alleanza da 3,2 miliardi; all’opposto la diffidenza della Ue, dopo l’esclusione dagli Usa, nei confronti di Huawei leader nel 5G: e infatti il sistema più avanzato di rete digitale, in Europa segna il passo.


In questa opposizione a Huawei la Ue va al traino del governo di Washington, che del resto ha compilato un lungo elenco delle società definite militari della Cina, che si presentano, secondo il Dipartimento della difesa americana, come società civili. È evidente che se sono realmente società militari non potrebbero esserci obiezioni. Ma potrebbe anche essere che la qualifica militare sia un modo per fermare, almeno per alcune, lo sviluppo tecnologico cinese.




PUBBLICITÀ




È evidente la preoccupazione degli Usa di vedersi superati sul piano tecnologico dalla Cina. Temere di non essere più i leader assoluti del mondo è un sentimento reale. Ma ad esso si sommano anche fatti di strategia militare, come quanto sta avvenendo nello stretto di Taiwan. Al punto che compiendo i 100 anni, Kissinger ha avuto il coraggio di proporre un ammonimento agli Usa: «se gli Usa intendessero difendere Taiwan sarà la guerra», e al nuovo ambasciatore cinese a Washington, Xie Feng, che è andato a incontrarlo a Kent, nel Connecticut, alla fine ha detto che Taiwan è un problema irrisolvibile, considerato che è territorio storico cinese passato a Chiang Kai-shek dagli Usa durante la guerra civile del 1949. Il suggerimento di Kissinger per tutti è di seguire l’indicazione di Mao: aspettare 100 anni prima di affrontare il problema: ne sono già passati più di 50. Insomma, il vecchio creatore della diplomazia del ping-pong appare essere il più lucido degli americani e dei cinesi e propone che i due presidenti si incontrino per trovare appunto una tregua.




PUBBLICITÀ




Ma a prescindere dalle tensioni politiche resta il tema economico, per questo si leggono dichiarazioni come quella della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: «Non è fattibile, nel nostro interesse, separarci dalla Cina. Le relazioni non sono bianche o nere, né può esserlo la nostra risposta: contendiamoci sul de-risking, non sul decoupling». In pratica la tesi del presidente Emmanuel Macron, che invoca anche un’autonomia della Ue rispetto a Washington, dove la realtà si intreccia con le problematiche preelettorali. Dopo il nuovo incontro del presidente Mattarella a Parigi, la presidente Meloni cercherà con la Cina l’intesa invece che la rottura? L’occasione buona è proprio quella del caso Pirelli e l’apertura indicata da Tronchetti di trovare una mediazione potrebbe essere la migliore anche per Pechino.


Anche se non piacevole, del resto, una dichiarazione dell’ambasciatore cinese a Roma nell’intervista pubblicata da MF-Milano Finanza è esplicita: se l’Italia cambierà linea non sarà più possibile avere una crescita delle relazioni economiche, con una crescita di oltre il 40% dalla firma del Memorandum Via della seta, nonostante in mezzo ci siano stati gli anni del Covid.


P.S. Nella sua penetrante relazione al mercato, il presidente della Consob, Paolo Savona, ha citato una frase di Primo Levi su cui conviene meditare: “Non nasconderti dietro l’ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla”. Speriamo che il presidente degli Stati Uniti, il presidente della Cina e la presidente Meloni, la leggano.