la Repubblica, 10 giugno 2023
C’è vita oltre Bruno Vespa?
Un eventuale corso universitario sul consociativismo avrebbe Bruno Vespa come prima materia di studio. Vespa sta al consociativismo (a quella Roma politica dove tutto si tiene e niente si lascia) come i Beatles alla Swinging London e Andy Warhol alla Pop Art: ne è l’incarnazione, l’icona indiscussa.
È dunque con il fiato sospeso che si segue la ormai lunga renitenza di Elly Schlein ai suoi inviti. Niente passaggio televisivo da lui, niente adunata nella sua masseria pugliese, tra ministri neri e cuscini rossi.
Ci sono tutti, anche l’avvocato Conte che si starà chiedendo quale postura deve assumere, l’opposizione, durante il rinfresco. Lei non ci sarà, e ben al di là della politica il fatto che nel posto dove vanno tutti almeno qualcuno non ci sia, è sempre una notizia salubre, una variazione, una novità, un segno dell’esistenza di altri mondi: così che alla domanda “c’è vita oltre Bruno Vespa?”, si possa rispondere di sì.
Anche volendo buttarla in politica: se la politica deve avere il compito di rappresentare persone, ceti, culture, bisogni e sensibilità molto differenti, è bene che questa differenza provi a manifestarsi anche nei dettagli. C’è già il luogo preposto a contenere il tutto, nel suo variegato assortimento, ed è il Parlamento. Fuori di lì, l’idea che tutti si ammassino sulle stesse terrazze, negli stessi ristoranti, nella stessa masseria, ha qualcosa di insano: il consociativismo, appunto, il cui spirito profondo è che nessuno è così differente, così autonomo, da poter fare da solo. Il mito della “diversità” della sinistra non destava simpatia; ma non ditemi che desta simpatia il “semo tutti nella stessa barca” che è l’anima del consociativismo.