La Stampa, 9 giugno 2023
Intervista a Zerocalcare
«Penso ormai di essere nella curva discendente della mia esistenza», dice alla soglia dei 40 anni. Eppure Zerocalcare, suo malgrado, è una delle voci più amate del nostro paese e, dopo il grande apprezzamento della prima serie, Strappare lungo i bordi, oggi arriva su Netflix quella nuova: Questo mondo non mi renderà cattivo. I personaggi sono gli stessi: Zero, Secco, l’Armadillo, doppiato sempre da Valerio Mastandrea. C’è però un nuovo elemento, Cesare, amico d’infanzia appena uscito da un centro di recupero. Di mezzo c’è anche un centro di accoglienza, che il quartiere di fantasia «Tor staceppa» non vede di buon occhio. C’è tanta politica in questi nuovi episodi: Netflix ha dato libertà assoluta a Zerocalcare. Che, per bocca del personaggio di Sara, si dice da solo che «rimanere coerenti ai propri ideali è un privilegio».
È così?
«È molto vero. Me lo sono sentito dire. E penso che chi se lo può permettere abbia la responsabilità di farsi carico anche di parlare per chi invece non può, perché magari è più ricattabile. Quindi in realtà è una responsabilità in più».
Perché questo titolo?
«Nasce da una canzone di Pat, cantautore di Anguillara. Non si riferisce direttamente a me, che sono un fortunato, ma a tante persone, che affrontano sfide molto più impegnative. È un auspicio: non cadere in tentazione di sgomitare, calpestando gli altri per salvarsi».
Cos’è cambiato dalla prima serie?
«Strappare lungo i bordi mi ha fatto capire i miei limiti e che con l’aiuto di altri, in questo caso Movimenti Production, potevo colmarli. Mi ha dato il coraggio di fare questa, scritta cinque anni fa. Con la prima ho introdotto i personaggi, con questa ho potuto affrontare temi più complessi».
Come il fatto che essere fascisti non sia più un problema?
«Nella serie parlo di nazisti, perché dire fascisti oggi sembra aver perso la sua accezione negativa. Non è più un ostacolo essere fascista. Non ne sono contento, però mi sembra del tutto evidente».
Quindi chi è perplesso sui centri di accoglienza è nazista?
«No, ma cerco di fare una distinzione tra chi vive sulla sua pelle il disagio dell’integrazione, come Cesare, e dunque crede in soluzioni per me non condivisibili ma per loro sì, e chi fa speculazione politica su di loro, strumentalizzandoli per tornaconto personale. Cerco di raccontare la difficoltà di rimanere se stessi in mezzo alle contraddizioni della vita».
Dove finisce l’autore e inizia il personaggio?
«È difficile. Mi capita a volte di inseguire il personaggio e fare delle scelte nel privato che magari non sono quello che mi va di fare in quel momento, ma quello che sono disposto a rivendicarmi pubblicamente. È complicato, sia per me che per chi mi sta attorno».
Come si conciliano amicizia e idee politiche?
«Credo che si debba sempre cercare di andare oltre queste cose nei rapporti umani. Poi chiaramente c’è un’asticella oltre cui non si può andare. Ognuno decide il suo limite e quel che può tollerare».
In un episodio dice che l’importante, nella scala della cattiveria, è non finire nello stesso girone di Margaret Thatcher: lei a che punto è?
«Sto a metà. Come quasi tutti ho dovuto fare compromessi, penso di aver ferito delle persone. Non sono riuscito a risolvere la vita di chi mi sta intorno come ho risolto la mia ».
L’eroe morale di Darth Vader è Massimo Giletti: una stoccata a lui o alla categoria?
«Alla categoria. Anche perché la serie è stata scritta prima dei suoi ultimi episodi».
Siamo un po’ il Lato Oscuro della Forza?
«Non tutti. Però ho una battaglia in corso, che va dai virgolettati al racconto delle periferie, che mi vede abbastanza appassionato. Ho l’ossessione di essere frainteso. A volte mi sono ritrovato a diventare portabandiera di cose che mi facevano orrore. Da allora penso che se ti prendi la responsabilità di dire qualcosa riguardo al mondo che ti sta intorno lo devi dire in modo chiaro».