La Stampa, 9 giugno 2023
Gli antifascisti italiani arruolati da Churchill
Dopo l’avvio dell’operazione Husky con lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia il 10 luglio 1943, in Italia si combatterono in parallelo due guerre: quella per la libertà per sconfiggere il nazifascismo e una, più tradizionale, combattuta dalla Gran Bretagna per l’egemonia commerciale ed energetica dell’Impero britannico nel mar Mediterraneo.
Grazie ai documenti recentemente desecretati degli Archivi nazionali di Londra, lo storico Eugenio Di Rienzo ricostruisce in Sotto altra bandiera (Neri Pozza) la storia di quegli antifascisti che si confrontarono con il dilemma morale e politico di scegliere di combattere contro il proprio Paese allacciando rapporti organici con i servizi segreti inglesi oppure di rimanere oppositori di Mussolini senza però trasformarsi in spie del nemico.
Tra quest’ultimi il più illustre fu certamente il filosofo Benedetto Croce, che dopo un’iniziale infatuazione per Mussolini nel 1922 era diventato una delle figure più rappresentative e autorevoli dell’antifascismo di matrice liberale, molto ascoltato nel mondo anglosassone. La sua maggiore preoccupazione era quella che gli Alleati volessero una pace punitiva per lasciare a fine della guerra l’Italia in uno stato di minorità politica e militare. In questa prospettiva si doveva leggere il sostegno tattico di Churchill alla debole e compromessa monarchia italiana, funzionale unicamente agli obiettivi geopolitici inglesi nell’area mediterranea.Fu così che Croce e, con lui, Gaetano Salvemini, pur rimanendo fieri avversari del fascismo non assecondarono mai le mire espansionistiche inglesi, mentre altri esponenti di primo piano dell’antifascismo democratico accettarono, con diversi livelli di coinvolgimento, di essere arruolati nel Soe. Lo Special Operation Executive venne creato nel luglio 1940 con il dichiarato obiettivo di «incendiare l’Europa» attraverso azioni di sabotaggio e propaganda. In Italia operava in quegli anni, a supporto dell’azione militare gli Stati Uniti, anche l’Oss (Office of Strategic Services), servizio segreto precursore della più nota Cia e non sempre le azioni e le strategie operative dei due servizi alleati erano convergenti e coordinate. Il Soe iniziò a reclutare esponenti dell’antifascismo militante gravitanti nell’orbita del movimento di Giustizia e Libertà, privilegiando quegli elementi che accanto all’ostilità al fascismo esprimevano una eguale contrarietà nei confronti del comunismo.Nel libro si racconta così la storia di Emilio Lussu, che si offrì agli inglesi proponendo di alimentare forme di resistenza militare in Sardegna nella prospettiva di liberare l’isola dalla presenza militare nazifascista e trasformarla nell’avamposto della nuova Italia (e vista da Londra, del predominio inglese sul Mediterraneo). Progetto poi abortito, ma assai significativo delle partite plurime che si stavano giocando sullo scacchiere italiano.Ampio spazio è poi dedicato alle attività negli Stati Uniti della Mazzini Society, di cui furono tra i maggiori promotori Alberto Tarchiani, Carlo Sforza e Alberto Cianca, non sempre condivisa dai vertici del Soe e in costante competizione con le organizzazioni vicine ai sindacati italo-americani e a quelle filo comuniste e anarchiche.
Figura a pieno titolo etichettabile come agente a tutto tondo del Soe e nell’ultima fase della guerra ufficiale di collegamento alleato presso il Comitato di liberazione nazionale alta Italia (Clnai), fu invece Max Salvadori, che stando all’attenta ricostruzione dell’autore, in sintonia con le ricerche di Renzo De Felice, ebbe un ruolo di primaria importanza nella fucilazione di Mussolini e Claretta Petacci, sul lago di Como, il 28 aprile 1945.
Salvadori, infatti, assecondò la decisione dei vertici militari partigiani di giustiziare Mussolini nonostante la ventinovesima clausola dell’Armistizio lungo siglato a Malta da Eisenhower e Badoglio il 29 settembre 1943 prevedesse espressamente, dopo l’arresto, la consegna di Benito Mussolini «alle forze delle Nazioni Unite».
Una vicenda che avrebbe poi alimentato più di una tesi complottista sul ruolo diretto degli inglesi nell’uccisione di Mussolini al fine di non rendere pubblici imbarazzanti carteggi e rapporti tra il Duce e Churchill e che invece troverebbero una spiegazione molto più semplice proprio nel ruolo attivo di Salvadori, d’intesa con i partigiani comunisti, al fine di evitare una Norimberga italiana, sgradita alla Gran Bretagna perché gravida di possibili ripercussioni negative per il dopoguerra italiano e europeo.
Nel lavoro di Di Rienzo trovano infine spazio anche le storie di due importanti figure della cultura italiana del secondo dopoguerra, Aldo Garosci e Leo Valiani, completando così quella che l’autore definisce «una storia di passioni, slanci generosi ma anche di ingenuità di chi nobilmente credeva nella possibilità di creare un mondo migliore, di inganni, di doppi e tripli giochi, di rivalità intestine, di tradimenti, di deliberati inganni. Una storia che alla fine vide i suoi protagonisti nelle vesti di vincitori, ma forse anche di vinti».