la Repubblica, 9 giugno 2023
Messi è fuggito in America
Due fantasmi si sono dati appuntamento all’ultima spiaggia: Miami. Leo Messi ci arriverà percorrendo il suo viale del tramonto, sazio di gloria, ma restìo all’ombra. La Lega del Soccer americano si presenterà con il suo consueto abito per un gala da decenni annunciato, che non arriva. Ha ballato con Pelé, Beckham, Pirlo. Ibra lasciò la pista con una maledizione: «E adesso tornate pure a guardare il baseball». Riprovano con il calcio, invece, preparandosi ai Mondiali del ’26, importando il campione che li ha vinti nel ’22, chiudendo di fatto la sua carriera.
La verità è nota da anni, almeno due. Come giocatore di club Messi è finito quando ha lasciato il Barcellona. La maglia numero 10 blaugrana l’ha avvolto come il mantello che trasforma un uomo in supereroe, l’ha portato in tutto il mondo, fosse un’imitazione sulle spalle dei bambini di un campo profughi o l’originale indossato da un rampollo del primo mondo. Se n’è andato per l’equivoco di un disamore che non ha atteso riparazione, per concedersi alla ricchezza, abiurando a una familiare leggenda. Come Jackie sposò Onassis, è passato al Psg. “Passato” non è un verbo scelto a caso. Non ha prodotto effetti. Togli Messi a questo biennio e il risultato resta identico. Per Parigi, non per lui. Ha potuto scaricare la responsabilità, dosare l’impegno. A Barcellona avrebbe dovuto marchiare ogni partita, davanti a 80mila testimoni di un dovere morale. In Francia ha potuto prepararsi per l’ultima missione. Riuscita quella, non gli restavano che il ritiro o le esibizioni. La locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato e cadere. In questi tempi sono rarissime le deviazioni. Buffalo Bill finisce inevitabilmente al circo.
Aveva tre pillole tra cui scegliere. La rosso-blu l’avrebbe riportato indietro, al Camp Nou dove ancora è la prima statua nel museo. In una conferenza stampa dimessa, seduto su un divanetto tipo Ikea, in calzoncini chiari e maglietta bianca, lo sguardo in cerca di un altrove, ha detto di non averlo fatto, pure lui, “per troppo amore”. Per non far vendere nessuno, non far abbassare lo stipendio a nessuno, per non (l’aggiunta è stata significativa) sentirsi rimproverare altro. La realtà è che a Barcellona avrebbe riavuto responsabilità: rivincere qualcosa che senza di lui è mancato, fare lo “straniero di coppa” in Champions e risollevarla. Non riuscirci a Parigi non è stata la stessa cosa. Avrebbe avuto la volontà e la forza per giocare 13 partite come un altro Mundial? Probabilmente no. Il Qatar si è iscritto al registro delle eccezioni. È stata una bolla spazio-temporale che si è richiusa su quell’ultima immagine: lui sul podio con il bisht, il mantello dal potere opposto che ritrasforma l’eroe in uomo comune. Poi la bolla si è girata, è scesa la neve e cari saluti.
La pillola rossa, l’Arabia Saudita, non è mai stata plausibile. Troppo deserto e troppo Ronaldo. Troppi soldi non sono bastati per farla ingoiare. Restava quella blu: l’America. Non la New York dove Pirlo vagava con finta allegria. Non la Los Angeles dove Ibra non ha mai trovato il suo ghetto. Miami. L’ispanica. La metropoli centro- americana scivolata appena più su, verticale deriva dei continenti. Nel baseball non vince da vent’anni. Nel basket si sta giocando (con poche possibilità) la finale. Nel soccer era sul fondo, fino a ieri. Ora, per la legge dei funghi, accanto a Messi spunteranno altri. Dicono Paredes, Di Maria, forse Busquets. Consigliabile anche il francese Deja Vu. Tutta la Lega del Soccer contribuirà per farsi illuminare da queste stelle che si sono spente mesi, o anni, fa. Giocheranno in stadi pieni e indifferenti. Il pubblico continuerà a sbagliare le scelte di tempo, per andare a prendere da mangiare o per fare “Wow!”. Metti un europeo a una partita di baseball e vedi che cosa combina.
Era un romanticismo ai supplementari aspettarsi un’altra stagione catalana. I nostri ricordi valgono più di quel mancato futuro. Arbitro, fischia pure tre volte. Messi, come Ronaldo, è stato troppo da calciatore per diventare allenatore o un direttore sportivo. Al massimo potrà comprarsi una squadra, o un federazione, o una piccola nazione. Gli highlight li abbiamo tutti in testa. Per quelli a venire avremo sguardi distratti, mentre cercheremo nella rete il prossimo amore. Purché sia l’ultimo, purché finisca bene.