la Repubblica, 9 giugno 2023
Intervista a Francesca Vecchioni
«La cosa importante è vedersi rappresentati, i media sono fondamentali. Spesso le discriminazioni si sovrappongono: sessualità, etnia, età. Monitoriamo la situazione con l’Osservatorio dell’Università di Pavia, la “Diversity Media Research” è la ricerca annuale sulla rappresentazione delle diversità nei media italiani. Non si possono fare passi indietro, ma visto quello che succede sono preoccupata». Scrittrice, attivista, esperta di diritti civili, Francesca Vecchioni, 48 anni, è presidente di Diversity, fondazione no profit impegnata contro ogni forma di discriminazione e nella promozione del valore della diversità e della cultura dell’inclusione nei media e nella società civile. Oscar dell’inclusività, i Diversity award premiano personaggi, film, serie tv, programmi. La cerimonia, il 21 giugno al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano, sarà presentata da Matilda De Angelis e Alberto Boubakar Malanchino, e verrà trasmessa su Rai 1 il primo luglio in seconda serata.
Nata dal primo matrimonio del cantautore Roberto Vecchioni con Irene Bozzi, Francesca ha avuto due gemelle con la ex compagna Alessandra Brogno e si batte per i diritti delle famiglie Arcobaleno.
Quando ha capito che era arrivato il momento di creare il premio?
«Ci abbiamo ragionato 14 anni fa, è scattato il bisogno di fare qualcosa per una società in cui allora, come purtroppo oggi, le persone venivano discriminate sulla base della non conoscenza. Ci siamo ispirati a un premio che esisteva negli Stati Uniti».
Quanto contano i media?
«Influenzano l’immaginario collettivo, hanno una responsabilità enorme che è sottovalutata. Vanno mostrate tutte le categorie, bisogna sapere che esistono. Da piccola non ritrovavo nessuno in cui potevo riconoscermi come lesbica, e il fatto di non essere rappresentata è già discriminante. Avviene anche per persone di differenti etnie, o per chi ha più di 60 anni. Per le donne poi le discriminazioni si sovrappongono: devono dimostrare sempre 50 anni».
Ha sofferto da ragazzina?
«Ero un’adolescente che non si riconosceva in nessun racconto, perché il mio non c’era. Immagini cosa vuol dire per un ragazzo o una ragazza, non vedere mai la propria storia. Questa cosa ha un impatto enorme. E conta moltissimo il modo in cui sei rappresentato. Le persone con disabilità o di etnia non caucasica, solo per fare un esempio, appaiono solo in un certo modo, sesono eroi e battono record. O sono campioni o in tv non li vedi».
In nomination ci sono vari prodotti Rai inclusivi, da “The voice senior” a “Lampadino e Caramella”. La preoccupa che il servizio pubblicostia virando a destra?
«Rai ha un contratto di servizio, io credo fortemente che tutte le persone abbiano bisogno di vedersi rappresentate e la Rai è di tutti. Se dovesse smettere o diminuire questarappresentazione, visto che la scelta è ampia, le persone andranno altrove. Sceglieranno chi si rivolge a loro, tra l’altro oggi i programmi più inclusivi risultano essere quelli di maggior successo e le nuove generazioni ci insegnano l’inclusione. Dovrebbero essere i broadcaster ad avere paura di perdere il contatto col pubblico».
Tra i candidati come personaggio dell’anno c’è anche Ornella Vanoni.
«Ci è stata segnalata più volte perché ha abbattuto tanti stereotipi, il primo è quello dell’età. Ha 88 anni ed è moderna, immersa nella contemporaneità, più di tanti altri. La grande Ornella ti fa comprendere quanto sia scorretto che le persone, solo perché appartengono a una certa generazione, siano discriminate».
Quando rivelò a suo padre di essere omosessuale fu quasi sollevato perché immaginava dovesse dirgli cose gravi. Che direbbe ai genitori di un figlio gay?
«La prima è che devono rendersi conto che un figlio non può essere felice fino in fondo se non è autentico con loro. Far aderire tuo figlio alle aspettative che non lo rendono felice è l’errore più grande che può fare un genitore, perché lo allontana».
Dal palco della manifestazione delle famiglie Arcobaleno a Milano ha detto: «C’è solo una cosa peggiore dell’essere discriminati, insegnare a discriminare».
«Certo e spesso è insito in un pregiudizio inconsapevole che viene guidato, i media devono sapere come parlare delle persone. L’ignoranza è il male peggiore».
Cosa le hanno insegnato da piccola?
«A stare in ascolto. Se sono così lo devo ai miei nonni, alla mia mamma e al mio papà, a tutte le persone con cui ho condiviso qualcosa, lo devo a una regola, al fatto di pormi sempre il dubbio. I miei genitori mi hanno insegnato a non dare mai nulla per scontato, a capire l’altra persona.
Quando parliamo con chi la pensa diversamente non possiamo sempre pensare che sia in malafede o abbia torto, a volte non sa. Il diverso da noi può arricchirci».
E lei cosa insegna alle sue figlie?
«Nina e Cloe hanno undici anni, sono una forza della natura, simpatiche, completamente diverse una dall’altra. È bello il loro modo di vedere la realtà e la loro apertura mentale. Ho insegnato a non dare giudizi, a pensare che tutto può essere, che le persone possono cambiare e che la vita ti sorprende sempre».