Corriere della Sera, 9 giugno 2023
Leonardo parla del Milan
«Parlo con rispetto perché il Milan durante tutta la mia carriera mi ha dato più di quanto io abbia potuto dare al club». La premessa di Leonardo è d’obbligo: è l’unica figura in 124 anni di storia del Diavolo ad aver ricoperto ogni ruolo nell’organigramma della società. Giocatore, allenatore e infine dirigente. Ora, a un anno di distanza dalla fine della sua avventura con il Paris Saint-Germain, assorbito dalle consulenze che offre ad aziende che vogliono investire nel mondo del calcio, osserva con stupore all’evoluzione delle ultime vicende sul Milan.
Leonardo, lei si dimette nell’estate del 2019. Boban dà l’addio nel marzo dell’anno successivo, Maldini è stato licenziato questa settimana. Il Milan dei fondi di investimento fatica a convivere con le sue bandiere?
«Non è facile rispondere, perché va dato atto che prima siamo stati assunti. Piuttosto mi pare che sia sbagliato ridurre la dicotomia a una lotta fra vecchio e nuovo».
Si spieghi meglio.
«Sembra che la nuova frontiera sia l’acquisto dei giocatori attraverso i numeri e gli algoritmi, ma guardi che non è una novità. A questa metodologia si è sempre fatto ricorso negli ultimi anni, anche quando c’ero io».
Il presidente Scaroni al Corriere ha osservato che Maldini ha difficoltà a lavorare collegialmente. Lei che lo ha portato in società che cosa ne pensa?
«È assurdo affermare che non sappia operare in team. Lo ha fatto per tutta la vita con umiltà, anche con me quando in una situazione normale avrei dovuto essere io il suo secondo. Piuttosto c’è un altro aspetto».
Quale?
«Come me all’epoca, non aveva il potere di firma. Non è che si svegliava la mattina e comprava un giocatore in autonomia. Gli acquisti sono sempre stati il frutto di una decisione congiunta. Su alcuni talenti emergenti, che avevamo segnalato, era stato messo il veto».
Pare sorpreso, eppure la differenza di filosofia fra Paolo e i fondi non era tale da lasciar presagire un finale del genere?
«Non solo sono attonito, lo è tutto il mondo del calcio per la modalità dell’addio e per le motivazioni. Il Milan negli ultimi due anni ha vinto uno scudetto e ha raggiunto una semifinale di Champions. Da oltre un decennio la società non chiudeva il bilancio in utile e ora lo sta per fare, senza contare che il valore complessivo del Milan, da quando Elliott è subentrato ai cinesi a oggi, è quadruplicato».
I giocatori avrebbero dovuto essere informati prima del divorzio?
«Si sottovaluta quanto sia determinante nella crescita di un giocatore, come ad esempio Leao o Tonali, il rapporto personale e quotidiano. Le reazioni sui social ne sono una prova. È ovvio che i calciatori siano disorientati e si chiedano: “se hanno fatto questo a Paolo Maldini, cosa faranno con me”?».
Fra i motivi di attrito la differenza di vedute. RedBird è orientato all’acquisto di giovani da rivendere, Maldini invece preferisce uomini di esperienza.
«Mi pare che tutti all’interno della società siano d’accordo nell’affermare che il contributo di Ibrahimovic, Kjaer e Giroud sia stato decisivo nei successi del club».
Lo ammetta però: l’acquisto di De Ketelaere non è stato azzeccato.
«Ancora no, ma ha 21 anni. E poi è un’operazione di tutti, come di tutti sono stati Leao, Theo Hernandez, Maignan».
Il suo giudizio è influenzato dal rapporto personale con Maldini?
«Siamo amici ma Paolo è una figura unica. Non parliamo di me che sono brasiliano: sono andato all’Inter e poi a Parigi. Come ha detto Ancelotti, il suo licenziamento è una mancanza di cultura, di rispetto anche verso i valori dello sport. E per chi è milanista è una mancanza di rispetto verso sé stesso, perché Maldini è il Milan. Questa decisione crea disamore».
A chi le attribuisce un flop da 38 milioni per il mercato del 2018 che cosa replica?
«Intanto furono acquisti decisi collegialmente. Caldara era il difensore più promettente in circolazione prima che si infortunasse. Higuain fu il frutto di uno scambio con Bonucci. Il Milan ha recuperato tutti i soldi investiti in Paquetà. È stato titolare del Brasile e campione nella finale di Conference League. Non può essere considerato un flop un giocatore che arriva in Premier per 60 milioni. Piatek, allora capocannoniere, è stato comprato e rivenduto alla stessa cifra».
Che effetto le fa vedere che a distanza di un anno dal suo addio al Psg, il club francese si prepara all’ennesima rivoluzione?
«Come dice la famosa battuta? Con me è difficile, ma senza di me è impossibile... ahahaha».
Messi sta per trasferirsi negli Usa. Non si è sentito abbastanza amato al Psg?
«Mi spiace tanto per quel che è successo. È una persona straordinaria e un campione degno di entrare nell’Olimpo del calcio con Pelé e Maradona. Ha compiuto una scelta di vita che gli consentirà di conciliare al meglio la famiglia e il lavoro. Se vai in guerra, con Leo non rischi di morire da solo. Con altri sì».