Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 08 Giovedì calendario

Eravamo stupidi da prima

Come si tratta la stupidità? Guardate che è un problema politico. Nella società di massa, nella quale con pieno diritto ognuno reclama presenza e pretende rispetto (c’è chi ha detto, ritenendo di portare a compimento il concetto di democrazia: uno vale uno) è forse il problema politico più imponente. La questione delle questioni.
Se lo stupido è – come credo, e forse come è per davvero – innocente, ovvero è portatore di un serio limite di comprensione delle cose, allora prenderlo di petto, e bollarlo di stupidità, è una forma di insensibilità e di discriminazione. Abbiamo imparato, o meglio stiamo ancora imparando, a non utilizzare paradigmi rigidi (il più rigido è la cosiddetta “normalità”) nei confronti di svariate categorie di persone. A levare lo stigma agli orientamenti sessuali meno classificabili, alla forma fisica delle persone, ai deficit fisiologici e psicologici: perché dunque non agli stupidi? Forse che è colpa loro, esserlo? E così come ammiriamo la giustezza etica del logo “nessuno tocchi Caino”, perché non escludere, per contagio, “nessuno tocchi Cretino?”.


Scrivendo, mi è spesso capitato di pormi il problema. Mi pareva, a conti fatti, che la stupidità di Tizio o di Caio fosse l’evidente motore del fatto del quale mi stavo occupando. La scrittura mi portava a concludere: si tratta di un cretino, e questo è tutto. Mi sono trattenuto sempre, o meglio quasi sempre. Un poco perché dare dello stupido a un altro presume una auto-attribuzione di intelligenza, ed è sempre sgradevole impancarsi (“non darti delle arie”, si diceva una volta. Prima di Instagram, a occhio e croce). Un poco perché lo stupido, anche se formalmente è spesso arrogante e aggressivo, fondamentalmente è un debole, anche se non lo sa. Un ipo-dotato. E una delle più faticose conseguenze della mia formazione di sinistra è che mi si accende in testa con buona frequenza una lampadina rossa, e sotto c’è questa scritta: gli ultimi vanno rispettati. Ricordati sempre che sei un privilegiato.


Questo schema ha retto, con qualche crepa, per buona parte della mia lunga storia professionale e personale. Ognuno ha i tabù che merita. Ma è stato messo seriamente in crisi da un fattore tecnologico-culturale, l’irruzione travolgente dei social nella storia umana, e da un folgorante amore letterario, quello per Fruttero & Lucentini (Carlo Fruttero, 1926-2012, Franco Lucentini, 1920-2002, torinese il primo, romano il secondo). Di qui in poi, F&L. I due, di formazione borghese e liberale, sono stati tra i più formidabili, acuti critici della massificazione, descritta in centinaia di esilaranti articoli sulla Stampa, in romanzi notevoli (i miei preferiti La donna della domenica e A che punto è la notte) e soprattutto in un pamphlet, La prevalenza del cretino, che già nel titolo indica la ragione del mio vacillare: nella società di massa il cretino, secondo F&L, non è la vittima, non è il debole, non è l’arrancante: è il vincitore, la figura egemone che plasma i tempi a sua immagine, la specie che, meglio di ogni altra, in quell’habitat ha saputo prosperare. È il dominatore ed è colui che indirizza, in quanto maggioranza, anche la politica. Nota bene: tutta la loro opera precede l’arrivo dei social. Definirla lungimirante non è dunque retorico, è “tecnico”. La loro analisi precede il celebre anatema di Umberto Eco (“i social hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”). A cielo ancora sereno, videro oltre l’orizzonte la tempesta perfetta, e cominciarono a descriverla prima ancora che cominciasse a tuonare.


Ho sempre invidiato a F&L il sereno esercizio della ferocia letteraria. Dico letteraria perché è la scrittura stessa a costringerli, nella descrizione dell’umano, a essere implacabili, come se il ritmo interno del ragionamento non potesse esitare di fronte ad alibi o scuse o debolezze: ogni cosa scema è prima di tutto una cosa scema, ogni gesto scemo, o frase scema, idem. Poi, se volete, ne discutiamo. Ma intanto, per carità, scriviamolo.
Avendo il vantaggio di non essere di sinistra, e fortemente laici, e snob “naturali”, ovvero snob senza lo sforzo che per esserlo fanno gli snob, i due poterono aggirarsi tra i loro contemporanei senza alcuna zavorra di tipo pietistico o solidaristico. Rileggo oggi la prefazione che scrissi cinque anni fa, su richiesta di Carlotta Fruttero (grazie Carlotta, che onore!), al volume postumo Il cretino è per sempre (Oscar Mondadori) e ne traggo questo paragrafo molto politico. Perché, come vi ho detto, la questione della stupidità è, per eccellenza, una questione politica.


“F&L furono reazionari? Disprezzavano il Popolo e la Gente, categorie che di lì a poco sarebbero diventate un vero e proprio totem politico? La mia risposta è no. Furono disperatamente fedeli a un modello di razionalità, di compostezza, di stile (anche letterario, ma non solo) che nel nostro Paese sarebbe limpidamente rivoluzionario, e forse il solo vero modo rivoluzionario. Ma non ha mai potuto attecchire per la gracilità congenita di quella classe sociale eversiva, la borghesia delle città e dei Lumi, che ha cominciato a soccombere, in Italia, già ai tempi della Santa Fede e del cardinale Ruffo, e in seguito è stata inutilmente liberale, inutilmente antifascista, inutilmente colta, inutilmente laica, infine inutilmente democratica. I Due sapevano, eccome se lo sapevano, che il loro sguardo era soccombente”.