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 2023  giugno 08 Giovedì calendario

La pace di Kennedy

John F. Kennedy è stato un grande costruttore di pace. Da presidente degli Stati Uniti ha trovato una soluzione pacifica alla crisi dei missili di Cuba e subito dopo, nel periodo di massima tensione della Guerra fredda, ha negoziato con l’Unione Sovietica il Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari.
Prima di venire assassinato aveva anche intrapreso le prime azioni per mettere fine al coinvolgimento militare degli Stati Uniti in Vietnam.
Esattamente 60 anni fa, il 10 giugno 1963, Kennedy fece un discorso folgorante e insuperabile all’American University di Washington in cui illustrò la sua formula per arrivare alla pace con l’Urss. Rileggere oggi quel discorso ci insegna quanto l’approccio di Joe Biden alla Russia e al conflitto in Ucraina necessiti di un drastico riorientamento. Finora, Biden non ha seguito i precetti di pace di Kennedy. Se lo facesse potrebbe diventare anche lui un costruttore di pace.
Un matematico definirebbe le parole di JFK del 1963 una “prova costruttiva” di come ottenere la pace, perché contribuirono direttamente al Trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari, firmato da Usa e Urss nel luglio del 1963. Dopo averne letto il testo, Nikita Krusciov disse all’inviato di Kennedy in Russia, Averell Harriman, che quello era il discorso più importante mai pronunciato da un presidente americano dopo Franklin D. Roosevelt e che era intenzionato a perseguire la pacificazione con Kennedy.
Kennedy afferma che la pace è “lo scopo razionale e necessario di ogni uomo razionale”, ma riconosce anche che la sua costruzione non è un esercizio facile: “Mi rendo conto che il perseguimento della pace non è clamoroso quanto la ricerca della guerra e spesso le parole di chi vi si dedica non vengono ascoltate. Tuttavia, nessun compito è più urgente di questo”.
La chiave di volta più importante per ottenere la pace, secondo Kennedy, è partire dal presupposto che entrambe le parti in causa vogliono la pace. È facile cadere nella trappola di addossare la colpa di un conflitto solo agli altri, di insistere sul fatto che sia solo l’avversario a dover cambiare atteggiamento e comportamento. Su questo il presidente Usa è molto chiaro: “Credo che sia necessario riesaminare il nostro stesso modo di pensare, come singole persone e come nazione, poiché l’approccio che noi adottiamo è essenziale quanto quello della nostra controparte”.
Kennedy odiava il pessimismo prevalente della sua epoca, quello che considerava impossibile la pace con l’Unione Sovietica, quello per cui “la guerra è inevitabile, l’umanità è condannata e siamo alla mercé di forze che non riusciamo a controllare”. “Noi non accettiamo questa visione – diceva nel ’63 –. I nostri problemi sono provocati dall’uomo ed è quindi l’uomo che può risolverli. L’uomo non ha limiti alla sua grandezza. Nessuno dei problemi legati al destino umano è al di là degli esseri umani”.
Non dobbiamo avere “solo una visione distorta e disperata della controparte”. Non dobbiamo considerare “il conflitto come inevitabile, la possibilità di accordo come impossibile e la comunicazione come un mero scambio di minacce”. Anzi, Kennedy annuncia nel suo discorso di “stimare profondamente il popolo russo per i suoi numerosi successi, nella scienza e nello spazio, nella crescita economica e industriale, nella cultura e negli atti di coraggio”.
Kennedy era consapevole del rischio di mettere all’angolo un avversario nucleare e spingerlo ad azioni disperate: “Soprattutto, pur difendendo i propri interessi vitali, le potenze nucleari devono evitare tutti i confronti che porterebbero l’avversario a dover scegliere tra una ritirata umiliante e una guerra nucleare. L’adozione di questo tipo di comportamento in un’epoca nucleare sarebbe solo la dimostrazione del fallimento della nostra politica o di un desiderio collettivo di morte per l’umanità”.
Sapeva che si poteva arrivare a un trattato di pace perché la pace era nell’interesse reciproco degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. E a chi sosteneva che l’Urss non avrebbe rispettato i patti, rispondeva che “sia gli Stati Uniti e i loro alleati, sia l’Unione Sovietica e i suoi alleati, hanno un interesse reciproco profondo a una pace giusta e genuina e a fermare la corsa agli armamenti. Accordi in tal senso sono nell’interesse dell’Unione Sovietica come del nostro – e si può fare affidamento anche sulle nazioni più ostili affinché accettino e mantengano quegli obblighi di trattato, e solo quelli, che sono nel loro interesse”.
Kennedy era anche consapevole dell’importanza della comunicazione diretta tra avversari. Tanto che sosteneva che la pace “richiede una maggiore comprensione tra noi e i sovietici, e per raggiungere maggiore comprensione sono necessari più contatti e più comunicazione. Un passo in questa direzione è la proposta di installare una linea diretta tra Mosca e Washington, per evitare a ognuna delle due parti quei pericolosi ritardi, equivoci e interpretazioni errate delle azioni dell’altra che potrebbero verificarsi in un momento di crisi”.
Ora, nella guerra in Ucraina, Biden si è comportato quasi all’opposto rispetto a JFK. Ha denigrato personalmente e ripetutamente il presidente russo Vladimir Putin. La sua Amministrazione ha sostenuto che l’obiettivo degli Usa nel conflitto è l’indebolimento della Russia. L’attuale presidente americano ha evitato ogni comunicazione con Putin: a quanto pare, dal febbraio 2022 non si sono parlati neanche una volta, e Biden ha rifiutato un incontro bilaterale con Putin al vertice del G20 dello scorso anno a Bali, in Indonesia.
Biden si è rifiutato anche solo di riconoscere, e tantomeno di affrontare, le profonde preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza. Putin ha ripetutamente manifestato la ferma opposizione della Russia all’allargamento della Nato all’Ucraina, che ha un confine di 2.000 km con la Russia. Gli Stati Uniti non tollererebbero mai un’alleanza militare del Messico con la Russia o con la Cina, visto che il confine di 2.000 miglia che li separa. È tempo che Biden negozi con la Russia sull’allargamento della Nato come parte di negoziati più ampi per porre fine alla guerra in Ucraina.
Già nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca nel gennaio 1961, Kennedy aveva manifestato chiaramente la sua posizione sui negoziati: “Non dobbiamo mai negoziare per paura, ma non dobbiamo mai aver paura di negoziare. Insistiamo sui problemi che ci uniscono invece di insistere sui problemi che ci dividono”. Due anni dopo, nel suo discorso per la pace, JFK ricordava che ciò che unisce gli Stati Uniti e la Russia è che “tutti viviamo su questo piccolo pianeta. Respiriamo tutti la stessa aria. Tutti abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli. E tutti siamo mortali”.