il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2023
Uno studente, che s’è contrato con Manzoni, risponde a Susanna Tamaro: «I classici ci insegnano a vivere»
Buongiorno, invio alla vostra redazione un articolo di commento alle parole di Susanna Tamaro sulla letteratura italiana.
Cara Susanna Tamaro, ho letto con qualche giorno di ritardo le parole con cui lei si è espressa, al Salone del libro di Torino, in merito alla questione della lettura e della letteratura a scuola e confesso di aver provato un certo senso di sconcerto.
Sono sempre stato uno studente molto diligente e anche un curioso lettore, attratto dalla letteratura e da qualsivoglia espressione di cultura, ma ammetto che c’è stato, in passato, un libro con cui, forse per inconsapevolezza, mi sono terribilmente scontrato: I promessi sposi, nelle cui lunghe e dense pagine non trovavo nulla di interessante. Nonostante la professoressa tentasse di persuadermi sulla straordinarietà del capolavoro manzoniano, mi rifiutai di volerci capire qualcosa. Nell’estate dell’anno successivo, in piena emergenza Covid, ripensando al famoso passo in cui Manzoni descrive la morte di Cecilia e della madre colpite dalla peste, mi sono commosso e ho deciso di rileggere, da capo a fondo, quell’opera che tanto avevo maledetto, che poi si è rivelata essere una delle letture più illuminanti. Questa vicenda, col tempo, mi ha indotto a migliorarmi personalmente, sia come studente sia come persona; e forse, comprendendo grazie a Manzoni l’irrinunciabile straordinarietà della letteratura, ho maturato poi quel senso di vitale dedizione verso i classici e la decisione di iscrivermi alla facoltà di Lettere classiche.
Ho trovato perciò spiacevole, nelle sue parole, l’uso del termine “vergognoso” per riferirsi al fatto che ancora si studino a scuola i testi classici della letteratura, quasi che essi, irti di difficoltà e faticosi, non avessero più nulla da dire e fossero soltanto un grave peso per tutti. Affermare, poi, che un grande classico come Verga vada eliminato dal percorso formativo e sostituito con storie e opere contemporanee, credendo che solo ciò che è contemporaneo possa confarsi agli adolescenti ed essere da loro compreso, è un pensiero semplicistico e scorretto: una scuola infatti deprivata di difficoltà e complessità è destinata, a priori, al fallimento, non solo fattuale ma anche concettuale. Se è vero che in questi ultimi anni il livello generale degli studenti si è abbassato da un punto di vista della qualità, ciò è certamente imputabile a processi di semplificazione e riduzione che si sono insinuati non solo nella scuola, ma anche nella vita.
Le letture, invece, a mio avviso, devono fungere da sprone per l’intelligenza, devono indurre i discenti a responsabilizzarsi e a scardinare la propria bambinesca e limitante inconsapevolezza, ed è quindi chiaro che la letteratura non possa votarsi soltanto al piacere, non possa essere soltanto il prodotto di una riflessione estetica, ma deve essere soprattutto educazione, nel senso etimologico del portare ciascun individuo fuori dal proprio habitat culturale e proiettarlo nella vera e multiforme dimensione della vita. Mi oppongo, pertanto, a uno studio della letteratura che prescinda dai grandi classici, che ci tramandano il racconto della nostra Storia, di quel tempo presente che si fa ciclicamente passato, e dalla complessità di cui noi stessi siamo fatti e abbiamo irrinunciabilmente bisogno.
Giacomo Vassallo, studente al primo anno di Lettere Classiche