Il Messaggero, 8 giugno 2023
Biografia di Afrodite
«Afrodite immortale, che siedi sopra il trono intarsiato, figlia di Zeus, tessitrice d’inganni, ti supplico, non domare il mio cuore con dolori e tormenti, o divina, vienimi accanto, come una volta quando udito il mio grido da lontano mi hai ascoltata: giungesti lasciando la casa d’oro del padre E tu, beata, sorridendo nel volto immortale hai chiesto perché ancora soffrivo, e perché ancora chiamavo, e che cosa voleva sopra ogni cosa il mio cuore folle. «E chi ancora devo convincere ad accettare il tuo amore? Saffo, chi ti fa torto? Se ora fugge presto inseguirà, e se respinge i tuoi doni poi ne offrirà e se non ti ama presto ti amerà, pur se non ti vuole».
LA MODERNITÀ
Questi versi sono cari a coloro i quali hanno frequentato il liceo classico – e li hanno letti in greco – ma anche a tanti altri, studenti e non. Ancora oggi colpiscono per la loro modernità, o meglio “atemporalità”. Sono le stesse parole, le medesime preghiere che gli innamorati di ogni epoca hanno pronunciato, gli stessi auspici che hanno formulato. Risuonano in poesie, romanzi, canzoni, stornelli, opere liriche. «Amore che fuggi, da me tornerai» avrebbe cantato con felice intuizione il Fabrizio de André di Amore che vieni, Amore che vai.
A precederlo di circa duemila cinquecento anni, con l’Ode ad Afrodite immortale, è stata Saffo, poetessa nata intorno al 630 a.C. nell’isola di Lesbo, nel greco mare Egeo. La sua vita si può ricostruire indirettamente, facendo riferimento alla “cronaca di Paro” – ovvero l’iscrizione greca nel marmo detta Marmor Parium -, alle parole di Stobeo, a vari autori greci e latini. Ma a parlare per Saffo sono soprattutto i frammenti delle sue opere. Purtroppo degli otto o nove libri – dodicimila versi circa – da lei scritti, solo l’Ode ad Afrodite è giunta integra. Dei suoi poemi, che venivano cantati su base musicale, sono sopravvissuti unicamente versi sparsi. Parecchi sono stati distrutti perché sulla letterata aleggiava una reputazione scandalosa.
GLI ELOGI
Indicativi, tuttavia, sono i molti elogi che le hanno rivolto contemporanei e posteri. Disse il giurista greco Solone, dopo aver ascoltato un carme di Saffo, che a quel punto avrebbe voluto solo impararlo a memoria e morire. Il filosofo Strabone la chiamò «una creatura meravigliosa», a cui nessuna era «degna di tener testa nella poesia». Colei che un epigramma attribuito a Platone definì «la decima musa» proveniva da una famiglia aristocratica, che dovette lasciare Lesbo per contese politiche e si spostò in Sicilia, a Siracusa o Agrigento. Anche Saffo emigrò con i familiari (fra cui tre fratelli), per poi tornare a Ereso – la città di nascita – e cominciare a insegnare in un tiaso, un aristocratico collegio femminile del tempo, legato nel suo caso al culto di Afrodite (tiaso indicava anche l’associazione religiosa legata al culto del dio Dioniso). Alle ragazze venivano insegnati fra l’altro il canto, la danza, la poesia, la postura, l’eleganza, la cura di sé e della propria venustà. Secondo alcuni, fra cui il poeta Anacreonte, è in quel contesto che si palesò la propensione per cui la poetessa di Lesbo è nota, ovvero gli amori femminili, non a caso detti “saffici” o “lesbici”. Bisogna, come sempre, contestualizzare storicamente i fatti: nell’antichità, i legami fra insegnanti e allievi – al femminile e al maschile – erano particolarmente stretti, rientrando in un percorso educativo e di formazione, di paideia, e non venivano considerati immorali, né avevano sempre implicazioni fisiche. La letterata dedicò alle sue allieve che andavano a sposarsi degli epitalami, canti nuziali d’amore. Celebre è quello sulla gelosia – “divento anche più verde dell’erba”. Pare che Saffo avesse sposato un uomo di nome Cercila e da lui avesse avuto una figlia, Cleide. Sembra anche che il poeta lirico Alceo nutrisse nei confronti della poetessa una grande passione, definendola «crine di viola, eletta, dolceridente». Famoso è il quadro di Lawrence Alma-Tadema che raffigura i due letterati.
NELL’ARTE
Tanti sono coloro che hanno dipinto la donna, fra cui Antoine – Jean Gros e John William Godward. E anche quelli che, nei secoli, ne hanno scritto, come Giacomo Leopardi ne L’ultimo canto di Saffo. Questa poesia è ispirata da una leggenda, e cioè che lei si fosse suicidata, gettandosi dalla rupe di Leucade, per amore di Faone, un giovane che non ricambiava tale passione. É un tema toccato anche dal poeta latino Ovidio. In realtà, Faone sarebbe una figura mitologica legata ad Afrodite. A quell’amore infelice si ricollega la vulgata secondo cui Saffo fosse poco avvenente, smentita però da altre descrizioni. Di certo lei, morta a Leucade intorno al 570 a.C., continua ad affascinare a distanza di millenni. Recentemente è uscito il libro Saffo, la ragazza di Lesbo di Silvia Romani. Il compositore Angelo Branduardi aveva realizzato La raccolta, pezzo ispirato da un componimento di lei, La dolce mela. Le parole di Saffo, del resto, sono universali, sembrano contenere ogni amore, felice o infelice, ogni passione, ogni dolore. «Ecco che Amore di nuovo mi dà il tormento, amore che scioglie le membra, Amore dolce amaro».