Il Messaggero, 8 giugno 2023
Intervista a Mogol
Mogol, le canzoni sono frammenti di vita in musica?
«Le canzoni qualche volta sono frammenti di vita e musica, ma non solo. La cosa più importante è cercare di capire cosa sta dicendo la musica. La musica nasce prima delle parole. Le parole entrano nella musica».
Lei ha scritto 1500 canzoni, un record assoluto e ineguagliato anche per i successi ottenuti. Come giudica un simile patrimonio?
«Pensi, le dò un dato di 4 anni fa della Siae sulla vendita dei miei dischi nel mondo: sono il terzo, nel senso che dopo i Beatles e Elvis Presley ci sono io che ho venduto 523 milioni di dischi».
È davvero impressionante.
«E, infatti, ha impressionato anche me. Non me ne ero reso conto. Però, attenzione: i diritti d’autore non vengono pagati in tutto il mondo, ma solo in alcuni paesi».
Capisce subito se un suo testo, insieme alla musica, avrà successo?
«È impossibile saperlo prima. Io scrivo e al massimo sono soddisfatto del lavoro. Altrimenti lo rifaccio, chiaramente. Il successo poi dipende dalla promozione e da tante altre cose. Lo decide il pubblico e solo lui. Ma è fatto di tanti ingredienti».
Tra le tante esperienze con grandi artisti, con chi ha raggiunto l’intesa perfetta?
«Ho scritto per Mango, ho scritto per Gianni Bella, un grandissimo, per Cocciante, per Lucio Battisti, e con tutti ho avuto un’intesa. Non è mai cambiato niente. In sostanza, se la musica è bella e che sia di uno o dell’altro non ha importanza».
C’è una frase che l’ha accompagnata per la vita e che lei ricorda spesso?
«Sì, la frase me la disse mia mamma. Era ammalata e ho visto che stava piangendo, le ho detto: “Mamma, hai paura di morire?” E lei mi ha risposto: “No Giulio, moriamo tutti. Non ho assolutamente paura di questo. È che ho litigato con tua sorella”. Ecco questa cosa che mia mamma ha detto, “non ho paura di morire, perché moriamo tutti” mi è rimasta nella testa, nel cuore e ci penso sempre».
C’è un verso nelle sue canzoni che racchiude la più autentica identità di Mogol?
«No, ma ce n’è uno famoso,” L’universo trova spazio dentro me, ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è”. È nei Giardini di Marzo».
I suoi testi sono poesie. Guai a chi dice che lei è un paroliere.
«Guardi, le posso dire una cosa? Non c’è nessun autore che è paroliere. Perché il paroliere è quello che fa la Settimana Enigmistica. La parola “paroliere” esalta certi giornalisti, che non rispetto».
Che cosa rende straordinaria la longevità di alcuni suoi brani?
«Penso un po’ come per tutti i fatti artistici che vivano nelle case e passino dal padre ai figli. Questo è capitato sempre nella storia dell’arte, dove si coglie l’intimo della natura umana. Il vero critico è la gente, il successo deciso dalla gente è quello che fa sopravvivere le opere».
Quali sono per Mogol i sentimenti più importanti della vita?
«L’amore, la misericordia. Tutto quello che allontana dalla paura della morte. L’autostima, l’autostima è fondamentale».
Mogol, che cosa non sopporta nel prossimo?
«Le persone sprezzanti e orgogliose che si credono importanti. Secondo me uno che si crede importante è un imbecille».
Che cosa la fa litigare?
«Fare discussioni verbali, accese, non ha senso. Una volta che si è esposto il proprio punto di vista poi, se si vede che la discussione si alza di volume è meglio andarsene. Chiuderla lì. Ognuno ha le sue idee e ci vuole rispetto anche per quelle degli altri».
Che giudizio dà delle nuove leve della canzone italiana?
«Secondo me la canzone italiana è entrata in recessione, senza motivo. Per questo ho creato questa scuola, il Cet. È la più importante scuola che c’è in Europa di questo tipo. Tant’è vero che è stato invitato a dare lezioni a Berkley ed Harward».
Per citare una sua canzone. “Dov’è il paradiso della vita?” Dov’è il suo?
«Il mio paradiso della vita è nella mia casa. Qui. Il Cet è qui costruito in mezzo alle foreste, una cittadella della cultura. Per me questo è, ed è anche quello che mi dice la gente quando arriva. È su un altipiano, 410 metri in mezzo alle foreste, davanti a una montagna verde, bellissima».
Lei ci parla con gli alberi?
«Io no, non ci parlo, ma li abbraccio che fa meglio».
Qual è oggi la sua canzone preferita? Se c’è?
«Questa è la domanda principe, quella che mi fanno tutti. Non c’è. Diciamo, se devo dire la verità, ce n’è una trentina. La regina non c’è».
E quelle di altri autori c’è una canzone?
«Sono tante quelle di altri autori che sono belle. Per carità, non è che le scrivo solo io».
Mogol, lei è impegnato nel sociale e considerato un grande mecenate. Un breve bilancio di questo suo aspetto che lei tiene riservato.
«Quello che non è riservato è il fatto che ho fondato la Nazionale cantanti che è riuscita in quarant’anni a lasciare ai bambini bisognosi cento milioni di euro equivalenti. L’altro fatto, recente, che non è solo mio ma anche di mia moglie, che abbiamo ospitato due famiglie ucraine da un anno».
Nella sua scuola, in cui i primi corsi sono nati nel 1990, hanno studiato 2400 allievi e lei ha scoperto decine di talenti. È un merito che le viene riconosciuto?
«La gente mi stimola molto. Io devo dire che sono un uomo fortunato perché ho sempre avuto persone gentili intorno a me».
Lei ha sostenuto che i governi fanno poco per supportare la cultura. Lo pensa ancora?
«Come lei probabilmente sa, sono consigliere del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Fanno quello che possono. Spero di poterlo vedere a breve: penso di potergli dare dei consigli interessanti. Chiaramente, sarà lui poi a valutarli».
È mai stato tentato dall’idea di entrare in politica?
«No, perché vede io non credo ai partiti, credo alle persone».
Lei è stato presidente della Siae, ha pensato di riformarla?
«No. Tutto quello che ho tentato di fare l’ho detto e ho cercato di promuoverlo. Mi sono occupato recentemente del riconoscimento del diritto d’autore da parte della Camera e del Senato, adesso purtroppo è fermo ai decreti attuativi, da otto mesi».
I cinque comandamenti ai quali crede e si attiene.
«La cosa che mi preoccupa di più, e quella che cerco di conquistarmi tutti i giorni è l’autostima. È la cosa più importante. Noi, quando moriamo non ci portiamo via proprio niente, solo l’autostima, cioè quella luce che siamo riusciti a crearci».
Che consiglio darebbe a un giovane che volesse intraprendere la sua carriera?
«Di studiare, studiare, studiare e lavorare, lavorare, lavorare. Ha detto Albert Einstein riferito a quello che chiamiamo il talento “one percent inspiration, ninety nine percent work"».
Come vive lo scorrere del tempo?
«Con serenità».
Una lunga vita di successi. Qualche rimpianto, qualche rimorso?
«No, perché ho cercato di non far mai del male alla gente. Sono arrivato a fare una cosa che consiglio a tutti: pregare per le persone che mi hanno fatto del male».
Per fare il suo mestiere è decisiva la conoscenza profonda dell’animo umano?
«Credo che sia decisiva per scrivere libri, per scrivere canzoni, e per avere un rapporto con la gente».
Un ricordo inevitabile: Lucio Battisti.
«Sì, ricordo, lo ricordo sempre sorridente. Con un sorriso molto bello. E poi tutto è scritto nelle canzoni così emozionanti. Penso che probabilmente un giorno ci incontreremo».
Che cosa gli dirà quando lo vedrà?
«Ciao Lucio, sono felice di vederti».
In cinque parole chi è davvero Giulio Mogol?
«Un uomo molto fortunato e protetto dalla sorte».