il Giornale, 8 giugno 2023
Come contano gli animali
Siamo abituati a dare per scontate, come se fossero universali, le conoscenze di aritmetica che apprendiamo a scuola. Ma non sono universali, anche se certamente lo è la capacità di apprenderle. Ci sono molte popolazioni tradizionali nel mondo che non hanno alcuna nozione di un’aritmetica formale e il cui lessico per i numeri è povero: i Pirahã, una popolazione tribale amazzonica, pare possieda solamente una parola per indicare «uno» e un’altra per «molti». Pur tuttavia questi individui hanno bisogno di stimare le quantità: dal numero di figli alla numerosità di un gruppo di potenziali avversari. Lo stesso vale per gli animali non umani che il linguaggio non lo posseggono: dalle api che calcolano quantità di nettare e tempo trascorso dall’ultima visita a un fiore, ai pesci che stimano la grandezza di un gruppo di compagni con cui fare branco, agli uccelli che valutano il numero di uova e si accorgono della scomparsa di una o più unità, alle leonesse che discriminano il numero di individui di un altro branco sulla base dei ruggiti uditi nella notte, confrontandolo con il numero di compagne presenti. Ma come fanno?
Lo fanno grazie a un meccanismo di stima approssimata delle numerosità, il cosiddetto «senso del numero», che consente una discriminazione piuttosto precisa con i numeri piccoli e via via più imprecisa con il crescere delle grandezze numeriche.
Ci sono dei veri e propri «neuroni del numero» nel cervello. Recentemente nel mio laboratorio ne abbiamo documentato la presenza anche in animali molto giovani, come i pulcini di pochi giorni di vita, il che suggerisce che l’intuizione della numerosità possa essere innata.
L’esperimento viene condotto in questo modo. L’animale osserva sullo schermo di un computer dei dischetti in numero variabile, le cui caratteristiche fisiche continue (area, dimensioni, perimetro, densità etc.) vengono cambiate in modo casuale. Registrando l’attività di singoli neuroni in certe regioni del cervello si scopre che vi sono neuroni con una sensitività specifica per una certa numerosità. Ad esempio, il neurone che risponde al numero tre (alla «tre-ità» dovremmo dire, perché il neurone reagisce alla cardinalità senza curarsi che i dischetti siano grandi o piccoli, densi o sparsi, chiari o scuri etc.) mostra un picco di attività elettrica in corrispondenza a questo numero e valori decrescenti per i numeri vicini (scarica meno al due e praticamente nulla a uno, e similmente al quattro e al cinque). Vi chiederete se la selettività di risposta valga per qualsiasi numerosità, se vi sia ad esempio un neurone per il numero «tremilaquattrocentoventicinque»: la risposta è no, perché la risposta dei neuroni mostra una variabilità (un errore) crescente con la quantità.
Che cosa ha a che fare questa capacità approssimata di stima della numerosità con i numeri veri e propri? Molto, in realtà, perché il senso del numero consente agli animali di condurre le operazioni dell’aritmetica. Ad esempio, abbiamo scoperto che i pulcini sanno eseguire addizioni e sottrazioni sul numero di oggetti e sanno anche calcolare rapporti e proporzioni. Lo stesso sanno fare creature dai cervelli minuscoli come le api.
Il senso del numero costituisce il fondamento biologico su cui è stato edificato il complesso culturale dell’aritmetica formale della nostra specie. Vi sono studi che mostrano come l’acuità nel senso del numero in età prescolare correli con l’abilità matematica a scuola. Si tratta di un effetto specifico, nel senso che non vi è correlazione con l’intelligenza (misurata dal QI) o con le capacità linguistiche o logiche, ma solo con quelle aritmetiche.
Vien da domandarsi che cosa abbia determinato a un certo momento la comparsa di una aritmetica precisa e la nascita della matematica. Si tratta, com’è ovvio, di una invenzione culturale, non biologica. Come notavo sopra, vi sono ancora oggi molti esseri umani nel mondo che appartengono a culture tradizionali che non posseggono alcuna matematica formale e se la cavano benone con il solo senso del numero. Capire come ciò possa accadere non è difficile. In una società di cacciatori raccoglitori tutte le stime di quantità vengono condotte su numeri piccoli e il senso del numero è estremamente preciso con i numeri piccoli. Con l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento la necessità di effettuare calcoli precisi e non solo approssimati sulle grandi numerosità si fece però pressante. Ad esempio, un viticoltore si trovò a dover contare esattamente, e non solo approssimativamente, le centodiciassette bottiglie di vino prodotte e le settantadue pecore del vicino allevatore, per condurre un baratto. Per far questo era necessario rappresentarsi esattamente e non solo approssimativamente le due quantità. Fu a questo punto che qualcuno comprese che le numerosità (incarnate nel cervello dai neuroni del numero) potevano essere poste in relazione con un qualche simbolo arbitrario, un segno su una corteccia o su un pezzo di argilla: questo sta per «uno», questo sta per «due»... La matematica probabilmente nasce da lì: l’uso di simboli arbitrari ha permesso di rendere discrete le rappresentazioni analogiche e approssimate delle quantità.
Quanto poi i simboli e il linguaggio abbiano modificato la nostra primigenia intuizione delle numerosità è illustrato meravigliosamente dall’Argumentum Ornithologicum di Jorge Luis Borges che apre Cervelli che contano (Adelphi): «Chiudo gli occhi e vedo uno stormo di uccelli. La visione dura un secondo o forse meno; non so quanti uccelli ho visto. Era definito o indefinito il loro numero? Il problema implica quello dell’esistenza di Dio. Se Dio esiste, il numero è definito, perché Dio sa quanti furono gli uccelli. Se Dio non esiste, il numero è indefinito, perché nessuno poté contarli. In tal caso, ho visto meno di dieci uccelli (per esempio) e più di uno, ma non ne ho visti nove né otto né sette né sei né cinque né quattro né tre né due. Ho visto un numero di uccelli che sta tra il dieci e l’uno, e che non è nove né otto né sette né sei né cinque, eccetera. Codesto numero intero è inconcepibile; ergo, Dio esiste».