Libero, 8 giugno 2023
Il social processo
L’omicidio di Giulia Tramontano potrà anche far schifo, ma sta mostrando anche il nostro peggio. Si fatica a trovare un avvocato per l’assassino (reo confesso) e le bestie social minacciano di morte chi possa farsi avanti. Si vaneggia di aggravante per il «femminicidio» ignorando che il femminicidio giuridicamente non esiste, esiste solo l’omicidio, che è già il reato più grave punito dal nostro Codice. Si straparla comunque di «duplice» omicidio perché lei era incinta, ignorando che questa sì, è un’aggravante di peso, ma la legge e la giurisprudenza non considerano il nascituro una «persona» sinché non c’è il travaglio, sinché non respira.
La privacy della defunta è violentata, i parenti sono assediati ma infine disponibili, influencer sottosviluppati ne approfittano per farsi pubblicità. I giornalisti soprattutto si scatenano adesso (in fase di indagini, o con istruttorie televisive) e spariranno nel momento che conta, alias il processo, dove si forma la verità giuridica: saranno impegnati a indignarsi per un nuovo caso mostruoso, pescandone uno tra i circa 300 all’anno che ci sono in Italia, e che peraltro sono pochi, perché siamo tra i Paesi più sicuri d’Europa. Insomma ha ragione Marco Travaglio, il caso sta mandando in cortocircuito il classico garantismo all’italiana, forte solo coi colletti bianchi. L’obiettivo di Travaglio ovviamente è che il garantismo sia debole con tutti.