La Stampa, 8 giugno 2023
L’Italia nel risiko della Libia
In Libia si intravede una possibilità. Uno spiraglio per portare avanti il processo di stabilizzazione di un Paese che galleggia sul petrolio ma è disintegrato dalle guerre tra tribù e milizie. L’obiettivo sono le elezioni, a lungo rinviate, per ridare una parvenza di democrazia a una nazione che dalla morte del dittatore Gheddafi non trova pace. Il problema è capire quale è il percorso meno insidioso, chi sono i protagonisti, chi gli alleati, su quanti tavoli giocare. Perché al momento sulla scena si muovono Egitto e Turchia, Italia e Francia, e, un passo indietro, emiratini e mercenari russi, con Roma che sembra essere tornata la piazza dove accadono le cose, dove le trattative avvengono come devono avvenire, nel silenzio, in segreto.
Ieri, il primo ministro ad interim del governo di unità nazionale di Tripoli Abdul Hamid Dbeibeh era a Roma non solo per vedere Giorgia Meloni, stringere accordi economici e parlare di sicurezza e migranti, della «necessità delle elezioni», della sua possibile candidatura, ma anche per un contatto diretto con il capo dei servizi segreti egiziani Abbas Kamel. Due fonti di governo confermano che l’incontro è avvenuto sul suolo italiano, il Paese che da anni chiede inutilmente al Cairo di processare gli 007 egiziani coinvolti nella morte del ricercatore Giulio Regeni. Ed è una novità che potrebbe rivelarsi molto importante, perché nella spartizione delle sfere di influenza in Libia, il Cairo è uno storico sostenitore del generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica, mentre Dbeibeh ha sempre goduto dell’aiuto, dei soldi e delle forniture militari del rais turco appena rieletto Recep Tayyip Erdo?an. Segno che potrebbe avere una certa solidità la tesi, sostenuta dalla diplomazia italiana, che tra Dbeibeh e Haftar ci sia un patto di non belligeranza per arrivare entrambi alle elezioni con i galloni di candidati alla guida della Libia finalmente unificata. Al momento si lavora su tre negoziati. Quello della Commissione 6+6, sostenuto da Egitto e Francia, con i rappresentanti delle due Camere di Tripoli e Tobruk in Marocco, che poche ore prime del vertice romano hanno evocato la possibile caduta del governo Dbeibeh e le elezioni imminenti;quello del Comitato di Alto livello per le lezioni, lanciata dall’inviato speciale Onu Abdoulaye Bathily che ieri Meloni ha rilanciato; infine i colloqui informali tra Dbeibeh e Haftar. L’intesa tra i due, al momento totalmente sottotraccia, cambia lo scenario e offre all’Italia un ruolo su cui ha lavorato soprattutto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, come dimostrano le visite ravvicinate di Haftar (il 4 maggio) e del primo ministro di Tripoli (ieri). Entrambi cercano una legittimazione, perché non potrebbero candidarsi: Dbeibeh perché secondo gli accordi di Ginevra avrebbe dovuto ricoprire l’interim senza poi gareggiare per le elezioni; Haftar perché è un militare (ma potrebbe svestire un mese prima la divisa ). Il governo e i diplomatici sono timidamente ottimisti. La frammentazione resta ma Dbeibeh sembra essersi rafforzato, anche grazie alla sponda del generale della Cirenaica. Le partenze di migranti dalla Libia sono diminuite e in proporzione risultano essere minori rispetto alla Tunisia, l’altro grande potenziale buco nero del Mediterraneo. Meloni ieri ha detto di «apprezzare» gli sforzi dell’autorità libiche nelle operazioni di salvataggio in mare e nel contenimento delle partenze irregolari. «Ma sono comunque preoccupata – ha aggiunto – in vista della stagione estiva», quando l’esodo potrebbe moltiplicarsi. Sono gli stessi timori espressi l’altro ieri, durante la visita lampo a Tunisi e il colloquio con il presidente Kais Saied. Come anticipato da La Stampa, Meloni sarebbe intenzionata a tornare subito in Tunisia, forse domenica, e vorrebbe con lei la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, anche per dare l’idea della volontà comune di evitare il default del Paese. Molto dipenderà se oggi il governo darà il via libera alla riforma del Patto sulle migrazioni di Bruxelles.
Nei piani di Meloni le garanzie sul rafforzamento della cosiddetta «dimensione esterna» sono fondamentali. I confini reali sono in Nord Africa. In Libia come in Tunisia, due Paesi molto fragili e dove l’Italia ha i suoi interessi vitali, sui migranti, sull’energia, sulle prospettive di business. Tutti temi di cui ieri Meloni e Dbeibeh hanno discusso e che sono il cuore dei tre accordi firmati alla presenza dei due leader. Il primo è frutto di negoziati con una delegazione del ministero dell’Interno libico presente in Italia da due giorni e si limita a una dichiarazione di intenti tra il ministro Piantedosi e l’omologo di Tripoli sul rafforzamento della cooperazione sulla sicurezza. Il secondo è l’accordo tra Eni, principale produttore di gas in Libia, e Noc (National Oil Corporation), su progetti di riduzioni delle emissioni. Il terzo è un memorandum di intesa tra Telecom Sparkle e l’Ente per le poste e telecomunicazioni libiche in vista della costruzione del cavo dati sottomarino BlueMed.