La Stampa, 8 giugno 2023
È già guerra a Elly Schlein nel Pd
Puntuale e prevedibile come il colpo di scena in una trama costruita per noi dall’algoritmo, che tutto delle nostre attese sa e tutto maternamente asseconda, è dunque arrivato lo scontro finale fra la nuova segretaria del Pd e la famiglia De Luca. Era talmente scritto, quel che sarebbe successo, da risultare interessante solo nel dettaglio lessicale: quale formula di spregio avrebbe usato il Presidente, quale userà nella sua prossima diretta Facebook – mi par di ricordare che il suo giorno di monologo sia il venerdì. «Radical-chic senza chic» ha detto ma si vede che era di fretta, ha usato un pezzo di repertorio da cabaret della destra, tutti sappiamo che può fare di meglio. Aspettiamo con fiducia.
Per chi avesse per sua fortuna preso un sabbatico dal dibattito politico e fosse tornato dall’eremitaggio per l’appunto ieri giova ricordare qui di che si tratta. Nel grande classico “La faida a sinistra”, una serie che gareggia con “Beautiful” per longevità anche anagrafica dei protagonisti, in questa trentaquattresima stagione irrompe Elly Schlein, esotica fin dal nome. La famosa e tanto evocata papessa straniera: non era difatti, fino a poco fa, neppure iscritta al partito di cui si tratta e che ora sorprendentemente guida, il Partito democratico. Molto giovane rispetto alle consolidate star, di molte delle quali potrebbe essere nipote, Schlein vince le primarie contro il volere del partito. La elegge, cioè, non la nomenclatura dei titolati a perpetuare la propria specie (i dirigenti, gli iscritti ai circoli) ma il popolo dei gazebo: quei cittadini elettori stremati dalle reiterate promesse disilluse nei decenni dai protagonisti delle precedenti stagioni, rottamatori e ritornanti che pur in qualche caso governando addirittura il Paese non hanno di un millimetro spostato l’asticella del progresso comune – talvolta caso mai del proprio personale benessere. Quindi Schlein trionfa, alcuni fra i più scaltri tra i vecchi capicorrente – quasi tutti di rimpianta e indimenticata scuola democristiana – la vedono arrivare prima e le si mettono alle spalle nella speranza di essere poi ricompensati o comunque di dirigere, come sempre, la banda – nel senso della banda musicale. Schlein però sorride a tutti, prende volentieri imbarazzanti endorsement noti come leggendari abbracci mortali, non è che puoi vincere avendo proprio tutti contro, ma incassa e infine va da sé. Grande entusiasmo iniziale, successo nei sondaggi, primo mese di impennata di nuove iscrizioni, specie donne e giovani. Cinque stelle in difficoltà, il campo dell’opposizione del resto è quello: tutto secondo algoritmo. Nel secondo mese insorge qualche piccola criticità. Schlein è figlia, per formazione e anagrafe, della tradizione dei movimenti, del dibattito stremante e collegiale, del confronto in assemblea territoriale. Dal punto di vista del lessico padroneggia una serie di circonlocuzioni in uso appunto nei collettivi, frasi talmente generiche e larghe da contenere tutto e non dire niente. È quella che al convegno ascolti un’ora riempiendo il taccuino e poi non trovi il titolo. Di là, al governo, c’è una specie di erinni che va a Catania e dice delle tasse “pizzo di Stato”, molto male come principio democratico ma eccellente come messaggio sintetico: hanno capito benissimo tutti. Del resto: la destra fa la destra, non si sa di che sorprendersi, ci vorrebbe una sinistra in grado di fare la sinistra facendosi nel frattempo anche capire. Iniziano i mugugni, soprattutto dentro casa. Gli ex ministri e capigruppo sponsor della candidata non si sentono riconosciuti e mascherano il dispetto, si riuniscono carbonari in ristoranti del centro – a Roma purtroppo non ti puoi nascondere mai, non esistono come a Milano i privée. Poiché c’è bel tempo sei sempre in un tavolino in mezzo alla strada, ti vedono. Schlein va sui social a dire siamo qui per restare – in questa storia del resto tutti parlano sui social, la morte dei giornalismo e degli intermediari di senso è una circostanza assunta da tutti, unica unanimità, come evidenza. Giorgia ha i suoi “appunti”, Vincenzo De Luca i suoi monologhi sulle tv locali e su Facebook e anche Schlein parla direttamente agli elettori, ci mancherebbe. Fin dal principio alla nuova giovane speranza del popolo democratico (inteso come elettorato eternamente orfano, magnificamente ostinato nell’attesa) era noto che i problemi maggiori li avrebbe avuti in sede. Le correnti, i padri nobili, i distributori di candidature e postazioni: gli amici, insomma, di partito. Enrico Letta, immediato predecessore, pur democristianissimo ecumenico e assai ben intenzionato, non ce l’ha fatta: il Pd uccide chi provi a governarlo, per statuto drammaturgico. Ma Schlein è nuova, non è esattamente neppure venuta dal Pd, è anzi inizialmente stata espulsa, Occupy Pd, ricordate?: era una di quelle che lamentava la gerarchizzazione dei vertici, pur nella benevolenza di Romano Prodi. Nulla accade che non si possa spiegare con le vecchie categorie della ritorsione a rilascio lento. Ma insomma. Grandi Speranze. Ed ecco che arriva il momento De Luca. Ci siamo. Il grande crash annunciato.
Vincenzo De Luca governa la Campania, come ognun sa. È un uomo, un politico, anfibio. Un populista perfetto: lo diresti di destra, se dovessi giudicare dai modi e dalle scelte di governo, dal metodo e dal merito, ma invece è di sinistra. Che bizzarria. Tutti i dirigenti nazionali, a sinistra, per decenni, lo hanno confermato nel timore di perderne il bacino di consensi. De Luca, difatti, soprattutto fa paura. Paura di perdere senza di lui, meglio averlo nella propria squadra che in quella avversaria, giusto? Importante è vincere, dunque prego, si accomodi e resti pure. Se non che Schlein arriva e dice che il terzo mandato no, De Luca non lo avrà. Sarebbe un mandarinato. Se c’è da perdere perderemo ma quel che conta sono i principi. Si è già perso, no?, alle recenti amministrative. Pazienza. Non c’è alle viste un cambio di governo. Tutt’al più le europee, per contare i consensi, e poi vedremo. C’è da costruire un campo nuovo, immettere nuove energie. Quindi con De Luca ora basta. Grande sgomento, spavento. Tra l’altro De Luca non è uno: sono i De Luca, come i De Filippo, è la famiglia. Quindi ora, è cronaca di ieri, c’è il caso del primogenito Piero a cui Schlein non ha confermato l’incarico di vicepresidente vicario dei deputati dem. Gli ha dato un posto che il figlio maggiore considera uno strapuntino, un’onta, «una vendetta trasversale che non le fa onore». Bisognerebbe anche dire, per completezza e onestà, che forse l’incarico che gli era stato precedentemente dato e ora gli è tolto non rispondeva esattamente e soltanto al solo merito individuale: forse una qualche influenza il cognome paterno e la di lui approvazione l’avevano avuta. Come che sia. Siamo al colpo di scena previsto. Titolo di puntata: “La vigliaccata”. Se preluda alla scissione dell’opposizione interna Pd – ma sembra di no, non ancora, non è il momento propizio – alla ritorsione degli sponsor, all’isolamento della segretaria nel suo stesso partito: ancora non sappiamo. Aspettiamo ansiosi la diretta Facebook campana di domani. Il meglio di stagione. Il picco di ascolti. Il popolo del Pd, sintonizzato, fibrilla. Da casa, popcorn nel microonde. Dai, che passa anche questa.