la Repubblica, 8 giugno 2023
L’acqua come arma di guerra
Uno dopo l’altro, i parà americani si erano lanciati nella notte dai loro aerei. Ognuno aveva addosso armi, munizioni e altri equipaggiamenti per un peso di oltre trenta chili. Ma la pianura verde sotto di loro non era un pascolo della Normandia: i tedeschi avevano allagato tutto. «Quelli che erano saltati giù prima di me sono affogati, così come quelli che l’hanno fatto dopo di me. – ha raccontato John Taylor, della 101ma divisione –. Io sono caduto su un pezzetto di terra in mezzo alla palude». Esattamente 79 anni fa, il D-Day è cominciato con questa scoperta: l’acqua era stata trasformata in uno strumento di guerra. Una pratica antichissima, che poche volte era stata impiegata su una scala così grande come nella catastrofe del Dnepr.
In Spagna, due secoli prima di Cristo, Quinto Cecilio Metello Macedonico aveva deviato un fiume, scatenando una cascata violenta sull’accampamento dei celtiberi: i feroci avversari di Roma vennero presi dal panico e fuggirono. Più sofisticati gli ingegneri persiani che alterarono gli impianti d’irrigazione del Tigri per fermare l’inseguimento delle legioni di Giuliano l’Apostata: un risultato limitato, perché i genieri dell’imperatore crearono rapidamente passaggi sicuri. Cesare invece durante l’assedio di Alesia incanalò un torrente all’interno di uno dei fossati scavati intorno alla roccaforte deiGalli, ottenendo un duplice risultato: privarli di risorse idriche e rinforzare la sua linea fortificata.
Non si tratta di episodi isolati, ma di una tattica descritta nei manuali di ogni secolo. Gli allagamenti come metodo di difesa sono stati così frequenti da diventare un capitolo dei trattati di strategia, a partire da quello celebre di Carl Von Clausewitz: il generale prussiano era rimasto impressionato dall’abilità olandese nel sfruttare le chiuse per provocare muraglie liquide davanti agli invasori. Un sistema che ha funzionato fino al 1940: i nazisti occuparono i ponti con un’incursione dei parà, subito raggiunti da colonne di panzer e grazie alla blitzkrieg misero fine all’inviolabilità dei Paesi sotto il livello del mare. Ma i tecnici del Reich hanno poi replicato la lezione e non soltanto in Normandia: nella pianura pontina stravolsero alcune delle bonifiche mussoliniane per imprigionare nella melma gli Alleati sbarcati ad Anzio, lasciando come micidiale eredità il ritorno della malaria.
Più difficile realizzare delle vere e proprie bombe d’acqua. Persino Leonardo da Vinci si è cimentato con il disegno di una cateratta che mutava un torrente in un “ariete idraulico”. La prima in assoluto viene attribuita agli spartani: il fiume Ophis fu indirizzato contro i bastioni di Mantinea, fatti di mattoni crudi che cominciarono a sciogliersi obbligando così gli abitanti alla resa. Un’idea copiata dagli egiziani nell’ottobre 1973 per aggredire la linea Bar-Lev, la barriera di sabbia alta più di 20 metri issata dagli israeliani sulla spondaorientale del Canale di Suez per impedire l’avanzata dei tank nel Sinai. Un colosso dai piedi d’argilla, letteralmente. I generali di Sadat mandarono all’attacco sul Canale decine di barche con potenti pompe idrauliche: cannoni d’acqua che aprirono 81 brecce nel vallo, spazzando via tre milioni di metri cubi di terra battuta in poche ore.
Ancora più problematico affrontare le dighe in cemento armato, i manufatti più resistenti in assoluto. La Royal Air Force progettò ordigni speciali, che rimbalzavano sulla superficie dei laghi artificiali fino ad esplodere contro le infrastrutture con tre tonnellate di tritolo. L’operazione Chastise ne sbriciolò tre: l’obiettivo erano le centrali idroelettiche della Ruhr ma le inondazioni uccisero 1.600 civili, tra cui centinaia di lavoratori forzati dell’Est. Il motto cinico del reparto incaricato della missione era “Dopo di me il diluvio”. Nell’estate del 1943 invece la Wehrmacht in ritirata tentò di buttare giù la stessa diga sul Dnepr distrutta ieri: riuscì a spezzarne solo un piccolo segmento, senza far tracimare il bacino, poi i tedeschi furono scacciati dalla carica del tenente Boris Suvorov dell’Armata Rossa. Ottant’anni esatti dopo, i nipoti di quei soldati sovietici l’hanno cancellata, sconvolgendo con un’ondata infinita l’intera geografia dell’Ucraina meridionale.