Nel 1917, l’artista ucraino Kazimir Malevič dipinse
Bianco su bianco, una tela interamente bianca, sulla quale si distingueva appena un quadrato d’un bianco un po’ più freddo. Mentre lo stava completando, scrisse: «L’azzurro del cielo è stato vinto dal sistema suprematista, si è lacerato, è penetrato nel bianco come autentica e reale rappresentazione dell’infinito e con ciò si è liberato dal fondo colorato del cielo... Navigate! Il bianco abisso libero, l’infinito sono davanti a noi!». La teoria del suprematismo l’aveva elaborata due anni prima, dipingendo un quadrato nero su fondo bianco: «Ho fatto
Quadrato nero per evocare l’esperienza della pura non-oggettività nel bianco vuoto di un nulla libero. Intendo la supremazia della sensibilità pura nell’arte, l’espressione senza rappresentazione. Le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse». Come a dire che l’arte pura è staccata da ogni funzione, che la pittura non deve più ritrarre il volto del potente di turno, l’immagine di un dio, un soggetto storico, mitologico, religioso, una natura morta o un paesaggio, ma rappresentare soltanto la pura forma geometrica.
Il Quadrato nero e il Bianco su bianco, evocati dagli storici dell’arte come il punto zero della pittura, procurarono a Malevič un mare di guai. Il suo percorso nell’arte astratta era avanzato parallelamente a quello della fisica. Ma lui era arrivato per primo al capolinea. Soltanto dieci anni più tardi, Werner Karl Heisenberg avrebbe enunciato il principio di indeterminazione, la legge fisica che toglie la speranza di arrivare a una certezza finale. Il limite è illimitato, il bianco su bianco di Malevič è una forma che c’è ma che non esiste, nello stesso modo in cui, a una certa temperatura vicina allo zero assoluto, “la materia c’è ma non esiste”.
Sotto Stalin, Malevič fu accusato di formalismo e rinchiuso in prigione per essere “rieducato”. I suoi dipinti, nascosti per sessant’anni nei depositi sovietici, sono riapparsi solo dopo la caduta del regime.