Corriere della Sera, 7 giugno 2023
L’ossessione quotidiana dell’apocalisse
È tutta un’apocalisse, con la minuscola però. Una parola sacra, che significa rivelazione intorno alla fine del mondo e che quindi meriterebbe la maiuscola, viene usata quotidianamente per ogni tipo di disastro, grande e piccolo, facendoci perdere le proporzioni e le misure della realtà. Nell’ultima settimana, si è verificata l’apocalisse in India per il deragliamento del treno, si è palesata l’apocalisse per il conflitto in Sudan, si è continuato a dibattere sulla probabile apocalisse ambientale, si è riaffacciato il timore di un’apocalisse nucleare (ne ha parlato l’ex presidente russo Medvedev). L’Intelligenza artificiale è stata definita come il quinto cavaliere dell’Apocalisse e lo skipper di Lisanza, protagonista dell’incidente sul Lago Maggiore, ha dichiarato di aver vissuto un’apocalisse in 30 secondi. E in questo clima c’è chi si porta avanti. Come l’attore Josh Duhamel, che ha avviato la costruzione di una struttura segreta nel Nord Dakota in cui rifugiarsi in caso di apocalisse planetaria. Per non dire della fioritura di romanzi apocalittici e post-apocalittici, di canzonette e di film terminali, distopici, catastrofici. Tutto richiama la fine del mondo, l’ecatombe, lo sfacelo. Le sfumature intermedie, compresi il dramma e la tragedia che già in sé sarebbero allarmanti, sono state apocalitticamente travolte dall’apocalisse universale che tutto ingoia e nulla salva. D’altra parte, l’apocalisse non sarebbe né piccola né media né grande. Un’apocalisse al giorno è una contraddizione in termini: per essere apocalittica, l’apocalisse dovrebbe essere unica e definitiva. È vero, resiste ancora l’ottimismo beato e beota di chi confida ciecamente in un progresso ad libitum (Umberto Eco li chiamava «integrati»). Ma di fronte al diffuso senso macabro e terminale dell’apocalisse quotidiana, come meravigliarsi se i nostri figli e nipoti sono depressi? Verrebbe da sdrammatizzare come fece Troisi di fronte al memento mori del monaco millenarista: «mo’ me lo segno, non ti preoccupare».