Corriere della Sera, 7 giugno 2023
Perché D’Alema e Profumo sono indagati
Sono entrati all’alba nelle case e negli uffici di manager e politici indagati e hanno portato via documenti, telefonini, computer alla ricerca di prove su quella «mediazione» che poteva portare alla «parte italiana» una provvigione da quaranta milioni di euro. È questa – dicono i pubblici ministeri napoletani – la ricompensa che sarebbe toccata a Massimo D’Alema e agli altri intermediari se il governo colombiano avesse acquistato le navi, gli aerei e gli elicotteri proposti da Leonardo e Fincantieri. Un affare da quattro miliardi di euro che però, questo sostiene l’accusa, sarebbe saltato «per l’interruzione della trattativa a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della somma tra le singole persone fisiche della “parte italiana” e di quella “colombiana”».
Sono gli atti processuali dell’inchiesta per corruzione internazionale contro lo stesso D’Alema, l’ex amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo, l’ex direttore generale di Fincantieri Giuseppe Giordo, a ricostruire le tappe della trattativa per la vendita di «aerei M346 della azienda a partecipazione pubblica Leonardo e di corvette, piccoli sommergibili, oltre all’allestimento di cantieri navali di Fincantieri» avvenuta nel 2021. Un’operazione che mirava ad ottenere «da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro».
L’indagine fu avviata quando si scoprì che esisteva la registrazione di una riunione nella quale proprio D’Alema parlava della compravendita e affermava: «La parte italiana è quasi pronta, abbiamo preparato le offerte e abbiamo ottenuto la copertura assicurativa per il piano finanziario». Quella registrazione – effettuata da uno dei partecipanti senza informare gli altri – mandò su tutte le furie D’Alema, che ne chiese il sequestro al Garante della privacy dopo la pubblicazione sul quotidiano La Verità, senza però riuscire ad ottenerlo.
I due personaggi intorno ai quali ruotano le prime verifiche sono Francesco Amato ed Emanuele Caruso che «operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri della Colombia». E proprio loro «tramite Giancarlo Mazzotta riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema, il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri». Per questa operazione erano già state stabilite le percentuali di provvigione che sarebbero state promesse a chi poteva agevolare l’affare. I magistrati parlano di «corrispettivo illecito di 40 milioni di euro corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro».
Sarebbe stato proprio D’Alema ad individuare lo studio legale americano che doveva occuparsi di curare ogni dettaglio dell’operazione. Così – nel decreto di perquisizione eseguito ieri dai poliziotti della Digos – i pubblici ministeri ricostruiscono quello che sarebbe accaduto: «La somma complessiva di 80 milioni di euro era in concreto da ripartirsi tra “la parte colombiana” e la “parte italiana” attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert Allen Law con sede a Miami (segnalato e introdotto da D’Alema quale agent e formale intermediario commerciale presso Fincantieri e Leonardo), rappresentato in Italia e per la specifica trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo». Dovevano essere proprio loro ad occuparsi «della predisposizione e la sottoscrizione della contrattualistica simulatoria e formalmente giustificativa della transizione finanziaria e dei veicoli societari bancari e finanziari in concreto predisposti per il transito, la ripartizione e la finale distribuzione della somma».
I magistrati partenopei ritengono che i soldi delle tangenti «stabilite come success fee pari al 2% del valore complessivo delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto», fossero destinati a «pubblici ufficiali che svolgevano l’attività presso le autorità politiche e amministrative tra i quali sono stati finora individuati Edgardo Fierro Flores capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia; Marta Lucia Ramirez ministro degli Esteri e vice presidente della Colombia; German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto delegati della commissione del Senato colombiano».