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 2023  giugno 07 Mercoledì calendario

Le intercettazioni dei poliziotti arrestati a Verona

La confessione del primo pestaggio – che per i magistrati inquirenti rientra nel reato di «tortura» – i suoi colleghi della Squadra mobile l’hanno raccolta quasi in diretta dall’agente Alessandro Migliore, 25 anni ancora da compiere, intercettato la sera del 22 agosto scorso. Il poliziotto parla con la fidanzata Nicole, e le racconta quello che è successo con un italiano fermato la notte precedente. «Ha iniziato a rompere il cazzo... Vi spacco sbirri di merda di qua e di là – dice Migliore —. Allora ha dato una capocciata al vetro... Il collega apre la porta e “vieni un attimo fuori... adesso ti faccio vedere io quante capocciate alla porta fai”... Boom boom boom boom... E io ridevo come un pazzo». Poi quasi si vanta di essere entrato in azione: «Amò, lui stava dentro l’acquario (la stanza dei fermati con una parete a vetro, ndr), gli ho lasciato la porta aperta in modo tale che uscisse perché io so che c’è la telecamera dentro... Amò, mi guarda, mi ero messo il guanto, ho caricato una stecca, amò, bam, lui chiude gli occhi, di sasso per terra è andato a finire, è rimasto là... È svenuto... Minchia che pigna che gli ho dato...».
Nell’atto d’accusa si sostiene che poi Migliore ha «istigato» un altro poliziotto a tiragli un calcio alla schiena. Dei cinque episodi per i quali si ipotizza la tortura, questo è l’unico contro un italiano; gli altri sono cittadini stranieri, e secondo il giudice i poliziotti indagati contavano sul loro silenzio. Senza calcolare, però, che i loro telefoni erano finiti sotto controllo nell’ambito di un’altra indagine, su una perquisizione di cinque mesi prima fin troppo benevola (praticamente mancata, secondo gli inquirenti) nei confronti di un gruppo di albanesi sospettati di tentato omicidio e detenzione di armi. Parenti del gestore di una discoteca frequentata dal gruppo di poliziotti «ballerini», che una volta compreso di chi si trattasse si sono fermati. L’ha raccontato l’albanese in un’altra intercettazione: «Io ero sporco in casa, i poliziotti... Il giovane Alessandro... Io avevo due fucili, un silenziatore e due pistole! Sa cos’ha fatto il poliziotto? Ha detto: “La perquisizione è finita, negativo!”».
Da lì i controlli su Migliore, l’ascolto del primo pestaggio e la decisione dei colleghi guidati dal questore Roberto Massucci – d’accordo con la Procura – di non fermarsi a una denuncia nei confronti dell’agente, bensì di aumentare il numero di microspie e telecamere in questura, alla ricerca di riscontri su quello ed altri episodi, per costruire un’indagine che svelasse l’eventuale marciume in nome della trasparenza. Aprendo uno spaccato di altre «torture» documentate quasi in diretta. Come quella nei confronti di un rumeno fermato e accompagnato in questura il 14 ottobre, addebitata a Migliore e un altro poliziotto; è sempre «il giovane» a raccontare alla fidanzata l’indomani: «Ha iniziato a sbroccare... Vabbè, gli abbiamo tirato due tre schiaffi a testa ma così, giusto per... Allora si è buttato a terra, gli stavo per dare un calcio, però... L’ho messo in piedi... Ho fatto sinistro destro, pam pam... Il collega fa “no, grande Ale”... Si è spento, l’ho portato dentro la cella, ho preso lo spray e gliel’ho spruzzato tutto sulla faccia».
Per i magistrati, l’uso dello spray urticante anche su soggetti ridotti all’impotenza, e dunque contro le regole, è «indicativo della volontà d infliggere ulteriore, gratuita sofferenza a un soggetto già percosso con violenza»; così come gli insulti «con parole di discriminazione razziale» nei confronti degli stranieri sono il sintomo di un «pessimo comportamento, inutilmente aggressivo e violento». Riassunto nei capi d’accusa che descrivono, a proposito di un altro episodio, il particolare di un fermato «spinto nella direzione di una stanza dove aveva urinato (sebbene secondo la sua testimonianza avesse solo fatto finta, ndr) e premuto al suolo bagnato, di fatto impiegando la sua persona come uno straccio per pulire il pavimento».
In attesa di ascoltare le versioni difensive, nel catalogo delle accuse rientrano anche le percosse nei confronti di un «tunisino di merda, figlio di puttana» che il 21 ottobre era finito a terra per i calci ricevuti, e si è sentito orinare addosso da un poliziotto che diceva «so io come svegliarlo». L’uomo ha raccontato di essere stato picchiato e umiliato in un tunnel della questura, di cui – ancora una volta – hanno parlato gli agenti inquisiti e intercettati, un mese più tardi. La notte del 17 novembre un assistente capo che non figura tra i cinque arrestati, parlando con un collega non identificato avverte: «Volevo dirti, e questo vale per tutti... Evitate di alzare le mani nell’acquario... Perché non si sa per quale motivo sono andati a vedere le registrazioni... Magari questi iniziano a controllare e cagare il cazzo... Quindi se dovete dare qualche schiaffo, nei corridoi...». Un altro interviene: «Abbiamo sempre fatto nel tunnel».
In realtà la settimana precedente erano state registrate le immagini e gli audio di un’altra aggressione di un cittadino africano che stava dando in escandescenze, affrontato da due degli arrestati: l’assistente capo Roberto Da Rold che «lo spinge dentro facendogli sbattere la parte posteriore della testa sulla panca in cemento», e l’ispettore Filippo Failla Rifici che, dopo essere stato ripetutamente toccato dal fermato nonostante le intimazioni a non farlo, «gli dà uno schiaffo al volto per poi buttarlo a terra dove lo colpisce con degli schiaffi».