il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2023
Biografia di Daniil Charms
Se oggi qualcuno si vestisse come Daniil Charms, nessuno ci farebbe caso, ma negli anni 30, per le strade di Leningrado, non erano numerose le ostentazioni di eccentricità. Stalin controllava che tutto filasse secondo l’ordine prescritto e figurarsi se un tipo come lui, agghindato con giacche sgargianti e pantaloni alla zuava, non attirava le attenzioni degli apparati di repressione della difformità. Che prima di finire inghiottito dalle fauci del totalitarismo, Charms fosse un individuo bizzarro era noto; ora però l’autobiografia di Marina Durnovo (Mio marito Daniil Charms, Utet), seconda moglie dello scrittore, aggiunge dettagli curiosi, raccontando, per esempio, che l’abbigliamento del marito incuriosiva persino i bimbi per strada, che gli urlavano dietro e gli lanciavano sassi. Lui contraccambiava: benché potesse esercitare la propria libertà creativa solo scrivendo per l’infanzia, non tollerava i bambini, “non li sopportava proprio”. Amava invece le donne, era un fedifrago impenitente e rispettava “le giovani sane e formose. Gli altri rappresentanti dell’umanità li guardo con diffidenza”. Nel periodo delle grandi purghe la circospezione era necessaria, tanto più per chi come Charms, discepolo delle rivoluzioni artistiche novecentesche e fondatore del gruppo d’avanguardia Oberiu, preferiva vivere nella miseria e nella fame piuttosto che allinearsi al realismo socialista. Già negli anni 20 la Russia sovietica aveva dissipato i suoi poeti, per dirla con Jakobson, il quale subito dopo il suicidio di Majakovskij, mise sul conto della dittatura anche la fucilazione di Gumilev, il suicidio di Esenin, l’agonia di Blok e di Chlebnikov. Ne seguiranno molti, tra cui Mandel ’stam, Babel, Mejerchol’d, e nel 1942 anche Charms, lasciato morire di fame in una prigione psichiatrica. L’opera per “adulti” di Charms – racconti, apologhi, poesie – è stata conservata in una valigia e scoperta solo negli anni 60, quando ha cominciato a circolare in forma di samizdat (ciclostili clandestini): “La vita mi interessa solo nel suo manifestarsi assurdo”. In questi scritti, Charms rivendica la libertà di far piazza pulita della logica, di scrivere a partire dal più assoluto non senso, libero da ogni realtà d’inciampo (socialista o capitalista che sia). Ecco allora i personaggi con capelli rossi ma senza occhi, o le vecchie che si sfracellano precipitando dalla finestra per la troppa curiosità, attirando la curiosità di altre vecchie che a loro volta si sfracellano... Una miscela di riso e disperazione, comicità e tragedia nell’opera così come nella vita di Charms, che scrisse sulla parete della stanza: “Noi non siamo torte”» [Luca Sebastiani, Fatto qqq]
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