la Repubblica, 6 giugno 2023
Intervista a Claudio Santamaria
Claudio Santamaria è di passaggio a Roma e sta per tornare a Corfù, sul set dell’ Odissea di Uberto Pasolini.
Dall’8 è in sala con Denti da squalo ,sorprendente esordio di Davide Gentile (Goon, Lucky Red Rai Cinema), fiaba metropolitana su un ragazzino che ha perso il padre e che nella piscina di una villa abbandonata fa una scoperta.
Durante l’intervista l’attore si occupa della piccola Atena, 16 mesi, che si sente giocare, fare urletti, esplorare. «Mi ha chiamato Gabriele Mainetti, il mio compagno di avventure. “Vorrei che tu facessi il padre che non c’è più”. La storia mi ha catturato, l’essere una voce morale per il ragazzino mi ha emozionato».
Sta vivendo di nuovo la paternità tosta, dei primi mesi.
Diventare padre le ha cambiato lo sguardo artistico?
«I mesi tosti sono questi, perché devi correre. I bimbi a questa età non chiedono un impegno emotivo, devi solo stargli dietro. Sono i più grandi che creano preoccupazioni, il loro rapporto con i social, e lancio un appello ai genitori per il modo in cui volgarmente i ragazzi si mettono in mostra, ogni barriera sessuale infranta, nessun senso del pudore...
Stanno subendo un lavaggio del cervello con la modifica costante della loro immagine, il corpo in mostra in modo spudorato. È il male del millennio, mi stupisco dei genitori che fanno i pudichi e poi se ne fregano degli atteggiamenti degradanti dei figli».
Lei sui social ha un grande seguito e ha sperimentato le montagne russe.
«Abbiamo denunciato chi ha diffamato pubblicamente e abbiamo cause in tribunale che in prima istanza abbiamo vinto. Le persone non si rendono conto che social non è virtuale e non è inconsistente. E quanto odio e rabbia circolino con il pretesto di esprimere le proprie opinioni.
L’errore è pensare che un commento cattivo possa essere associato all’intelligenza».
Lei ha spesso detto la sua, nella politica e nella società. Oggi qual è il suo pensiero?
«Anni fa ho sostenuto la candidata sindaca di Roma Virginia Raggi e ogni volta vengo additato per questo come grillino. Credevo in un progetto e speravo in un cambiamento. Oggi mi domando come nel 2023 si possano negare dei diritti. Come Paese siamo ancora indietro da questo punto di vista, rispetto all’Europa e al mondo e come esseri umani».
Sua figlia si chiama Atena, lei ha una passione per l’epica e sta girando l’Odissea.
«Sono stato sempre un amante dell’epica a scuola, adoravo Iliade Odissea e Eneide. Nel film sono Eumeo, “il divin porcaio”, come lo chiama Omero, il guardiano dei maiali di Odisseo che lo accoglie tornato a Itaca, lo cura, lo aggiorna su ciò che accade nella sua isola dopo vent’anni. Uberto è un regista esigente, la sua poesia sta nel fare meno, nel rendere la recitazione piccola: scarnifica affinché resti l’essenza delle cose. Ho la fortuna di lavorare con grandi attori internazionali come Ralph Fiennes,recito in inglese, è una grande occasione di confronto con un cinema di respiro ampio».
Nella sua filmografia ci sono grandi autori italiani di respiro internazionale, penso al Bertolucci di “L’assedio”.
«Avevo 23 anni, ero pieno di energia e di idee. Come tutti i grandi, Bernardo amava ascoltare le proposte, mi chiese “come faresti, cosa diresti in inglese e in italiano?”.
L’ultima volta che ci incontrammo era sulla sedia a rotelle, ci abbracciammo, aveva vistoLo chiamavano Jeeg Robot , mi disse “sei bravissimo” con la sua erre moscia.
Avrei voluto fargli vedere il mio corto da regista, non ho avuto il tempo».
Restiamo nell’olimpo del nostro cinema: Ermanno Olmi.
«Un essere umano poetico. Sapeva mettersi alla prova ogni volta.
Girammo Torneranno i prati che aveva 84 anni, in trincea, al freddo.
Un giorno avevo una scena che non funzionava, “Ermanno, scusa, qui non ho capito”. Lui legge, io una tensione mortale, dice “hai ragione, datemi 15 minuti e la riscrivo”. A casa sua, a Milano, parlammo degli odori dei nostri genitori, suo padre che tornava dalle ferrovie con l’odore di olio, e il mio, pittore edile, con l’odore di vernici. Parlammo di ciò che ci avevano lasciato, della loro dignità di lavoratori».
Con Luca Guadagnino ha girato “Melissa P.”.
«Il suo primo film. Veniva da un successo letterario forte, tra l’altro mi ha tagliato la scena di sesso, ce ne erano troppe prima. Nei commenti al dvd dice “per ripagarlo gli ho regalato una playstation portatile, spero che non me ne voglia, mi farò ripagare in un altro film”. Sto ancora aspettando, fiducioso».
Con Muccino avete fatto un lungo pezzo di strada insieme.
«Gabriele mi ha fatto conoscere al grande pubblico. Un rapporto talmente simbiotico che nel secondo film, Come te nessuno mai ,mi insultava perché non tornavo dalla Patagonia per girare, 25 ore di viaggio e un vento terrificante.
L’ultimo bacio è uno spartiacque che ha fatto reinnamorare il pubblico degli attori italiani, ha riportato la gente al cinema».
Il ricordo di set più felice?
«Il set è sempre un momento di felicità. Del mestiere mi piace imparare e viaggiare. Chi meglio di Salvatores, maestro del road movie, per portarti da un posto all’altro con il cinema?».
Il sogno oggi?
«Fare un film da regista. Cerco la storia. Ho girato un corto, Rosso , premiato dai Nastri e a Venezia.
Un’esperienza totalizzante, uno choc emotivo, piangevo tutti giorni. Quando l’ho raccontato a Bertolucci mi ha detto “Madonna, speriamo che non sia brutto”, e io: “ma che conta?”.
Lui: “invece è l’unica cosa che conta, deve essere bello, conta quel che è sullo schermo”. Oggi questa è la mia priorità».