La Stampa, 6 giugno 2023
L’orrore nelle chat di Alessandro Impagnatiello
«Poiché in quanto Madre fu ridotta a serva, in quanto madre sarà amata e venerata. Quando l’immagine della madre diviene rassicurante e santa, si capisce che l’uomo si volga a lei con amore».
È Simone de Beauvoir, è il Secondo sesso, ed è il 1943. Sono passati ottant’anni, e siamo ancora a quella santità del materno che viene però piegata e ritorta contro le donne, un po’ ovunque e con vari gradi di gravità: dall’esaltazione della presunta famiglia naturale (e dunque del ruolo sacro della Madre) fino alle frasi di un futuro assassino che annaspa quando viene messo con le spalle al muro da due donne. E a una di loro, quella che ucciderà e che è incinta di suo figlio, scriverà infatti: «Prima ancora di far nascere un bambino tu vuoi già dividerci? Vuoi farlo nascere con due genitori separati? Ma che madre sei?».
Non bisognerebbe leggere le chat. Perché è terribile trovarsi davanti le parole di una giovane donna, Giulia Tramontano, che sta andando a morire, e che prima, però, scrive ad Alessandro Impagnatiello. Sono le 18,29 del 27 maggio: «Sto tornando a casa». «Fatti trovare». Si farà trovare, purtroppo, come sappiamo.
Ma torniamo alle parole. Quelle parole: «Che madre sei?», scritte da un futuro padre che non avrà problemi a sbarazzarsi del figlio di lì a poco, suonano come un atroce ricatto. Perché si svegliano mostri antichi quando la Madre non sorride ma allontana: e questo, forse, sarebbe il punto su cui chi si occupa della psicologia del maschile dovrebbe riflettere, perché la maternità, forse, viene vista ancora come un potere da cui si è esclusi, quello di mettere al mondo qualcuno che vivrà dopo di noi, e i poteri fanno paura, specie a chi nel mondo non vede altro che se stesso e che non immagina che la vita includa esattamente che altri ci sopravvivano nel tempo.
Basterebbe questo a segnare la differenza. Perché leggendo lo scambio fra Giulia Tramontano e Alessandro Impagnatiello colpisce la distanza abissale fra i due. Agli inizi di maggio, Giulia chiede conto di un rossetto trovato nella macchina di lui, gli chiede di chi sia: «Mio non è, è di qualcuno che è stato sul lato passeggero, sarà caduto. Chi è entrato in macchina?». Lui è evasivo, lei insiste: «Non è caduto niente di generico ma qualcosa di specifico, un rossetto da donna. Dal momento che non è mio significa che qualcuno lo ha perso. Le cose non compaiono all’improvviso». «Non so di chi cazzo sia», replica lui. E quando Giulia gli dice che avrebbero «chiuso i conti», dice: «Parli così con un bimbo in pancia?».
C’è un mondo in questa frase: la giovane donna incinta dovrebbe tacere, tutelare non il bambino ma il compagno, far sì che si rimanga insieme comunque, per il bene del figlio. Lo scambio si ripeterà, pochi giorni prima (due, solo due) della morte per coltello. Il 25 maggio: «Accetta la mia decisione e chiudiamo discorso. Non voglio altre discussioni, frustrazioni, ansie e rabbia continua, lasciami stare. Non sono felice e vorrei ritrovare la mia tranquillità. Basta». Lui: «E vuoi trovare tranquillità mettendomi da parte?».
Vecchia storia. Se si fa un ripasso delle motivazioni dei femminicidi, siamo sempre a quell’essere messi da parte: «Ero geloso. Non volevo che se ne andasse. L’amavo più della mia vita. È stato un raptus». Il possesso, oggi, non è più mitigato dalla socialità. Il «mio» non è più «nostro». Gli io sono soli. Soli si muovono nel mondo, cercando il proprio posto che spesso è illusorio. Non il denaro, non l’amore, non il cielo, o tutto questo insieme, ma sempre riferito a quell’io, io sono, io voglio, io pretendo, io sono qui, io non posso essere contraddetto, dal momento che non sono sostenuto da altri se non me stesso. Io. Dunque, o mia o di nessuno, e ancora oggi si reagisce col coltello a un no, a una ferita, a un seno che viene allontanato. Perché questi sono anni di abbandono e solitudini non riconosciute.
Non di tutti, però. C’è stata una rete femminile intorno a Giulia Tramontano, che non è riuscita a salvarla, ma ci ha provato. La ragazza del rossetto, intanto, la poco più che ventenne che ha cercato un incontro con lei, che l’ha messa in guardia, che le ha chiesto notizie via chat mentre tornava a casa, che l’ha chiamata invano quando era già morta. La madre di Impagnatiello, anche, dopo la confessione del figlio. Tutte le donne che hanno scritto, anche senza conoscere Giulia, che lo sapevamo, lo sapevamo tutte com’era andata. C’è stata, quella rete, e a volte serve, a volte fallisce. Forse bisogna che tutti imparino a coniugare quel noi, prima che sia tardi.