Corriere della Sera, 6 giugno 2023
Intervista a Juan Diego Flórez
E dopo la Scala, la piazza. Piazza Duomo, ribalta da 50 mila spettatori per Juan Diego Flórez, da poco reduce dagli applausi al Piermarini nella Lucia di Lammermoor diretta da Riccardo Chailly.
E ora, l’8 giugno, sempre con Chailly, stavolta sul podio della Filarmonica scaligera, Florez sarà la star del Concerto per Milano.
Programma italiano, arie da Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi e Puccini.
E come bis, una scorribanda latino-americana. «La Scala è la mia casa, Milano una città che amo», confessa il tenore, peruviano di nascita, italiano per passione di Rossini.
Rossini, quanto gli deve?
«Praticamente tutto. È stato Rossini a portarmi in Italia, Pesaro estate ’96, un visto per pochi giorni, un ruolo secondario in Ricciardo e Zoraide. Ma poi un cantante si ammala, all’ultimo minuto chiamano me. E mi ritrovo protagonista di Matilde di Shabran! Un salto nel buio, un trionfo inatteso. Avevo 23 anni. La mia carriera internazionale è iniziata lì».
E anche il suo legame con Pesaro.
«Ho cantato più di 200 volte. A Pesaro è nata mia figlia Lucia Stella, mi hanno fatto cittadino onorario, ora dirigo il Festival. Rossini, il mio nume tutelare. Non l’avessi incontrato, chissà come sarebbe andata…».
L’avrebbe mai immaginato?
«Come potevo? La mia era una famiglia non facoltosa, anche se il canto ha sempre fatto parte della mia vita: mio padre Rubén era chitarrista e cantante di criolla, mia madre Maria Teresa gestiva un pub di musica dal vivo. E ogni tanto toccava a me esibirmi: canti della tradizione andina, canzoni di Presley. Un tirocinio eclettico molto utile, ho capito che qualsiasi musica, se ben strutturata, è degna di essere cantata».
Allora aveva l’anima del rocker
«La mia band si chiamava Graffiti, cantavo i Beatles e i Led Zeppelin. Ero un ragazzaccio con tanti ricci e chitarra in spalla. La classica l’ho incontrata più tardi, grazie a un insegnante che al liceo ci insegnava la zarzuela, l’operetta spagnola. Colpito dalla mia voce si offrì di darmi lezioni. Ma i miei non potevano pagarlo. Per fortuna il conservatorio era gratuito. Mi sono iscritto per migliorare la mia voce pop, ho scoperto la lirica. A 18 anni la scelta: avrei fatto il tenore».
I suoi l’hanno sostenuta?
«Per farmi partecipare a un’audizione a New York mia madre vendette la sua vecchia auto. Lasciai Lima con pochi dollari. Per campare andavo nel metro e cantavo le canzoni napoletane imparate dai nonni. Torna a Surriento faceva furore, riempiva l’astuccio della chitarra di monetine. Una sera mi feci un regalo: al Met davano Lucia di Lammermoor, mi misi in fila per un biglietto. La mia storia d’amore con Lucia iniziò così».
E poi? Cosa è successo?
«Ho incontrato il mio mentore, Ernesto Palacio, grande tenore specialista in Rossini. Grazie a lui ho debuttato a Pesaro. E lo stesso anno sono arrivato alla Scala: l’Armide, un ruolo minore ma era il 7 dicembre, Muti sul podio. L’anno dopo tornai per Falstaff».
Alla Scala fece scalpore per un bis ne «La fille du regiment».
«L’aria era Ah! Mes amis, celebre per i nove “do” di petto. L’entusiasmo era tale che ho dovuto ricantarla. Sempre alla Scala, dopo un concerto, i bis durarono quasi un’ora. Ho attaccato i miei cavalli di battaglia di un tempo, Torna a Surriento, Besame Mucho. Un delirio».
Doti necessarie per questo mestiere?
«Talento, fortuna, impegno. Impegno di più. Bisogna studiare tanto e non solo canto, serve teatralità, comunicativa. Se poi hai pure una bella voce, meglio».
Vivere in Italia cosa le ha insegnato?
«Il piacere delle cose vere: guardare il mare dalla mia amaca, stare con gli amici, ascoltare musica. Cucinare. Guardare la partita. Mi piacciono poi il tennis e le serie tv. Succession è la preferita».
Potrebbe smettere di cantare?
«Se mi accorgerò che la voce non è più all’altezza dirò basta. Un altro lavoro l’ho già. Nel 2011 ho fondato “Sinfonia por el Perù”, una fondazione che si rivolge ai giovani sfavoriti per promuoverne il riscatto sociale attraverso la musica. Sono già 7000 i ragazzi, dai 6 ai 18 anni, iscritti ai nostri cori, bande e orchestre. I migliori confluiscono nell’orchestra principale. Nel 2024 saremo in tour in Europa».
Salvarsi con la musica
«Uno strumento potente di educazione civica, insegna il rispetto, la puntualità, la perseveranza. I nostri ragazzi sono meno aggressivi, più responsabili. Non lasciano la scuola, il lavoro infantile è calato del 90%, le ragazzine incinte del 75%. Tutti vogliono una sola cosa: sentirsi apprezzati. La musica è la promessa di una vita migliore».