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 2023  giugno 06 Martedì calendario

I cento giorni di Schlein

Elly sa tutto.
Ha visto e letto tutto.
Le hanno spiegato tutto.
Perciò, adesso, la domanda che rimbomba nel Pd – cento giorni dopo la vittoria alle primarie – è: Elly Schlein ha capito? O meglio: vuole capire che così, con questa agenda movimentista e ambigua, piena di slogan e sostanziale vaghezza, non andiamo da nessuna parte?
Raccontare la complessità della sua breve segreteria con la sconfitta alle recenti Amministrative sarebbe politicamente riduttivo (resta però un fatto che l’unica vittoria dem, ottenuta a Vicenza, è stata del giovane Giacomo Possamai, gelido e lucido nel chiedere a Elly di «non farsi vedere in giro»). Occorre allora rimettere insieme appunti mentali e appunti scritti, soffiate e allusioni, editoriali, interviste e retroscena. Gli autentici veleni di chi si era ostinato, come ripete lei, a non vederla arrivare. E le tremende occhiate tra stupore e delusione, i sospiri rassegnati – «Vabbè: comunque è chiaro che ora dobbiamo tenercela fino alle Europee» – di tanti che invece l’hanno accompagnata fin qui.
Telefona un ex segretario (se indovinate chi è, siete dei fenomeni: il Pd ha cambiato dieci segretari dal 2007): «La Schlein, per cominciare, dovrebbe eliminare un po’ di arrogante solitudine, quell’aria da portatrice di purezza assoluta, che diventa solo specchio di una sinistra elitaria». La rimproverano: sei chiusa in un bunker. Con Gaspare Righi (ombra personale e ascoltassimo capo segreteria), Marta Bonafoni (coordinatrice e custode della segreteria: modi severi e un filo saccenti, ora che finalmente può andare in tv), Igor Taruffi (il capo dell’organizzazione: entusiasmo, ma esperienza limitata a Bologna e dintorni) e Flavio Alivernini, il portavoce incaricato di dirci che Elly parlerà dopo, anzi domani, forse, vediamo, magari fa solo una diretta social. La sconfitta elettorale, in effetti, l’ha commentata su Instagram. La prima vera intervista l’ha rilasciata al mensile Vogue, rivista di grande prestigio, però non particolarmente diffusa tra le classi operaie, più sensibili al tema del salario che all’armocromia. Il Foglio, che la martella ogni giorno, ha raccontato che Elly preferisce evitare domande su maternità surrogata, sulla fidanzata Paola Belloni e sui diritti Lgbt. Gli attivisti annusano l’aria e vanno giù duro: «Il Pd smetta di balbettare sui diritti civili, serve chiarezza».
Appunto. Un mese fa, Lorenzo Guerini, capo del Copasir e di Base riformista, uscendo da una riunione: «Sembrava di stare in un’assemblea del liceo» (metafora per dire: straparlano). Una certa dose di vaporosità la coglie anche Romano Prodi. Mentre Elly – commentando l’alluvione dell’Emilia-Romagna, di cui è stata vicepresidente – salta dalle mutazioni globali all’economia sostenibile, lui ragiona sulla mancanza d’investimenti e di manutenzione. Elly, da quelle parti, le sue, s’è vista con clamoroso ritardo, e in una strada deserta dell’Appennino (paura di contestazioni?). Giorgia Meloni, sua teorica competitor, si era intanto già offerta ai tigì con gli stivaloni nel fango.
Perché – dicono – Elly dà sempre l’impressione di arrivare tardi, un po’ molliccia, un po’ generica. Invece di criticare, in tempo reale, la premier che a Catania parla del «pizzo di Stato», le lascia qualche ora per precisare; sull’incapacità del governo di spendere i soldi del Pnrr, continua con lo stucchevole ritornello dell’«occasione sprecata», etc etc; clamoroso pasticcio, a Bruxelles, nel voto sul piano munizioni per l’Ucraina (dal Pd, 10 sì su 15 votanti: ma lei aveva chiesto di astenersi); sulle alleanze: vuol erodere il voto grillino o vuole allearsi con Conte?; quanto alla Rai: si è accorta di cosa sta succedendo tra viale Mazzini e Saxa Rubra?
La scongiurano: ascoltaci. Il grande saggio del partito, Luigi Zanda: «Si lasci aiutare». Il potente Goffredo Bettini (sì, tranquilli: vedrete che nel Pd resta potente) rilascia un’intervista ad Avvenire, ma per parlare della Gpa (il tortello magico farebbe bene a preoccuparsi). L’autorevole Andrea Orlando, definitivo: «C’è un partito da costruire». Gianni Cuperlo: «La segreteria di Elly non è frutto di spirito unitario» (elegante eufemismo). Struggente lettera a Repubblica di Morani/Di Salvo/Fedeli/Rotta: «Il Pd non deve diventare massimalista». Intanto, però, Fioroni, Marcucci, Borghi e Cottarelli se ne sono andati. Pierluigi Castagnetti organizza assemblee di catto-dem riformisti e ostili. Marianna Madia e Lia Quartapelle tengono seminari «in cui parliamo di cose concrete: tipo sanità e immigrazione». Alessandra Moretti boccia l’idea di Elly che, alle Europee, vuole avere solo donne capolista: «Le liste si costruiscono con persone capaci». Paola De Micheli: «Servono contenuti». Graziano Delrio: «Ma se vuole chiederci consigli, noi siamo qui». Dario Nardella: «Anche perché non può decidere tutto nel chiuso di una stanza».
Quale?
Nella sede del Nazareno, si vede poco (non ha ancora arredato il suo ufficio, al terzo piano). A Montecitorio, si vede pure meno (dato al 30 aprile scorso: presente a 567 votazioni elettroniche su 1.551, media del 36%). I militanti dem bolognesi sono furibondi: «È irreperibile».
I tutor di Elly, in teoria, dovrebbero essere Dario Franceschini (che in un’intervista ha suggerito di avere pazienza) e Francesco Boccia (che le parla un po’ di più e prova a suggerirle tracce di linea politica).
Ma l’autostima di Elly è fortissima.
Il timore di molti è che il suo programma sia proprio solo quel nome così esotico (nemmeno più il suo trench, perché andiamo verso l’estate).