il Giornale, 6 giugno 2023
Quando era la sinistra a bacchettare la Corte dei conti
La funzione della Corte dei conti è già stata messa in discussione in passato, ma da sinistra. All’epoca della bicamerale guidata da Massimo D’Alema, nel biennio 1997-1998, si sviluppò un dibattito che oggi sarebbe considerato un «grave attacco ad un organo indipendente» (Pd), «un colpo alla trasparenza e alla legalità» (M5s), «un tentativo di mettere un bavaglio illiberale» (Verdi) ai giudici contabili. «Alcune magistrature speciali andrebbero profondamente riformate e altre abolite senza rimpianti. Nella prima categoria rientra la Corte dei conti», scriveva Eugenio Scalfari, su Repubblica, in un fondo dal titolo brutale «Consiglio di Stato da buttare». Il giudizio del fondatore di Repubblica sulla Corte dei conti era molto netto ma più moderato: «La Corte dei conti, per dirla in breve, controlla poco, tardi e male ed è un elemento di drammatico ritardo nei processi decisionali del governo, della pubblica amministrazione e del Parlamento. Adeguarla a compiti di effettivo controllo è un altro pezzo importante della riforma, senza il quale sembra difficile sperare in una reale modernizzazione dello Stato». Quanto, invece, «ai tribunali regionali amministrativi (Tar) e al Consiglio di Stato che ne è il coronamento, secondo il mio modesto parere essi vanno interamente aboliti». Le motivazioni sono le stesse sollevate dall’attuale maggioranza di governo rispetto alle spese legate al Pnrr. «Il rallentamento che ne deriva alla certezza e alla definitività degli atti della pubblica amministrazione raffigura una delle distorsioni più macroscopiche di tutto il funzionamento della nostra macchina amministrativa» scriveva Scalfari, che però andava molto oltre, proponendo l’abolizione di Tar e Consiglio di Stato («esso è da moltissimo tempo ormai, ma forse lo è sempre stato fin dal suo sorgere, un fallimento di proporzioni totali» scriveva Scalfari, scatenando un acceso dibattito pubblico).
Ancora più illuminante, come ha ricordato Raffaele Marmo sul QN, la posizione dell’ex presidente della Bicamerale, Massimo D’Alema. Nel suo libro La Grande occasione, pubblicato nel ’97 proprio per raccontare l’esperienza (fallita) della Bicamerale, l’ex leader dei Ds discute appunto la proposta radicale di Scalfari di fare piazza pulita degli organi della magistratura contabile, esprimendo una valutazione però altrettanto critica: «Nel caso della Corte dei conti scrive D’Alema invece, ricordo di aver ricevuto, in quel periodo, una lettera anonima in una busta intestata della Corte, con la quale un sedicente gruppo di magistrati mi consigliava minacciosamente di sostenere un certo nucleo di emendamenti. Cito l’episodio, a cui non avevo dato gran peso, per dire quanto sia ancora lungo il tragitto da compiere per far approdare il Paese a una democrazia matura, che non ha paura di cambiare, che non teme di rinnovarsi e di aggiornare le proprie istituzioni, che non antepone la logica delle corporazioni all’interesse comune». Questo scriveva più di 25 anni fa. Mentre sulla riforma dei poteri della Corte dei conti si è espresso l’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese («Limitare i poteri è sacrosanto») prendendosi per questo del leccapiedi del governo.