ItaliaOggi, 6 giugno 2023
La Germania butta giù la Merkel dal piedistallo
Giù la statua: la cancelliera Angela Merkel, fino al 2021 assurta al rango di grande statista europea, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, è stata considerata corresponsabile della catastrofe. Nell’ultima, lunga e approfondita analisi del Wall Street Journal, a firma di Bojan Pancevski, la politica estera di Merkel viene esaminata al microscopio e la conclusione è chiara: non solo la cancelliera ha spianato la strada all’invasione russa, grazie ai suoi accordi commerciali con la Russia, ma neppure ora si sente in colpa. L’autocritica viene da altri esponenti dei suoi governi, come Wolfgang Schäuble (Finanze) e Frank-Walter Steinmeier (allora agli Esteri, attuale presidente federale). Ma non dalla Merkel, che nelle sue interviste, da ultima quella rilasciata a Der Spiegel, non mostra alcun pentimento.
La colpa principale è duplice: aver reso la Germania energeticamente dipendente dal gas russo e di averla disarmata. E soprattutto: non aver cambiato rotta neppure nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, quando ormai erano chiare le mire imperiali di Putin e la sua volontà di sconfiggere l’Unione europea e la Nato.
Eppure, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il generale Alfons Mais, comandante in capo delle forze armate tedesche, aveva confessato pubblicamente che il suo esercito era a tal punto impreparato da non essere più in grado di respingere un eventuale attacco russo. Il paragone con Chamberlain – Inevitabili i paragoni con Neville Chamberlain, tirato in ballo dalla stessa Merkel. Dopo aver visto il più recente film Munich, che riguarda l’infame conferenza di pace di Monaco del 1938, l’ex cancelliera giunge a rivalutare il premier dell’appeasement, come un esempio di saggezza di un capo di Stato che, in buona fede, ha almeno rinviato di un anno lo scoppio della guerra mondiale. I paragoni con Chamberlain sono un paradosso e, al tempo stesso, una chiave di lettura della Germania contemporanea. Sono prima di tutto un paradosso, perché Chamberlain stava preparandosi a combattere contro… la Germania. Dunque contro il paese che Merkel ha guidato a lungo.
Dopo la sconfitta del 1945 tutti i governi tedeschi, dell’Ovest come dell’Est, hanno dovuto rifarsi una verginità. E non è stato facile. Merkel è nata e cresciuta nella Germania Est, occupata dall’Urss, governata da un regime totalitario il cui unico scopo era quello di omologare i tedeschi al modello sovietico. Oltre che svolgere il difficile e duro ruolo di «prima linea del socialismo» (Muro di Berlino incluso) in Europa centrale, in vista di un conflitto con la Nato.
L’esperienza di Merkel, che ha iniziato a fare politica nel primo partito democristiano dell’Est (legalizzato nel 1990), non è un fattore trascurabile. La riunificazione delle due Germanie -Una volta che l’ex cancelliera è entrata in politica nella Germania riunita, il suo mentore è stato Helmut Kohl, tedesco dell’Ovest che ha ottenuto con una rapidità incredibile il successo di riunificare un Paese retto da due sistemi opposti e (apparentemente) inconciliabili e farlo decollare economicamente.
Ma ogni successo ha un prezzo da pagare, soprattutto in politica. Alla caduta del Muro di Berlino, buona parte della leadership europea che contava (come Margaret Thatcher nel Regno Unito e Giulio Andreotti in Italia) era contraria alla riunificazione tedesca. Era una generazione di politici che aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale, dalla parte di chi aveva combattuto il nazismo e aveva il timore che la Germania potesse tornare ad essere una minaccia.
Il presidente francese Mitterrand, socialista, fu più aperto all’idea di una riunione, ma a certe condizioni: che la Germania fosse sostanzialmente disarmata e inserita in una nuova unione politica (e non solo economica) dell’Europa. Due anni dopo la riunificazione tedesca, con il Trattato di Maastricht, veniva posta la prima pietra dell’Unione europea.
Gli ultimi trent’anni di storia tedesca dimostrano che la Germania riunita ha saputo rimanere al centro dello sviluppo dell’Ue, come potenza economica, ma non più militare. Questo aspetto, però, non giustifica l’altro disarmo: quello energetico. Per spiegarlo, occorre risalire a fatti più recenti. Il primo capo di governo che ha creduto di poter fare a meno dell’energia nucleare, per motivi ideologici ed ecologici, non è stato Merkel, ma Gerhard Schroeder. È il cancelliere socialdemocratico che ha iniziato una politica che puntava tutto sullo sviluppo delle rinnovabili, ma al tempo stesso teneva la riserva di un’importazione di gas «stabile ed economico» dalla Russia, qualora le rinnovabili non fossero state sufficienti.
Ma perché Merkel ha proseguito e addirittura accelerato questa politica? Per pragmatismo? Per motivi economici? No. Per paura. Ed è qui che sta la sua debolezza. Perché a determinare la svolta fortemente anti-nuclearista della cancelliera democristiana sono stati tutti fattori psicologici: la paura provocata dall’incidente di Fukushima (2011) e l’ascesa dei Verdi nelle elezioni locali. Da allora la Germania ha rinunciato al nucleare e il compito di smantellare gli impianti è stato completato quest’anno dal successore di Merkel, il socialdemocratico Olaf Scholz, il cui governo dipende dal sostegno dei Verdi.
Queste sono le due dinamiche che hanno creato la Germania imbelle di oggi: disarmata in cambio della sua riunificazione e dipendente dal gas russo a causa della sua paura del nucleare civile. Nel 2014 Merkel non è stata capace di cambiare questa rotta, ormai impostata da tanto tempo. Si è semmai illusa di congelare il conflitto ucraino con gli infiniti colloqui di Minsk, dal 2015. Però, così facendo, ha riconosciuto l’annessione russa (di fatto) della Crimea e anche gli interessi russi dei separatisti nella regione del Donbass. Così ha incoraggiato il dittatore russo a lanciare l’invasione su larga scala. Ora la Germania dovrà costruire da zero un suo ruolo militare per il prossimo futuro. Da pacifico motore economico al centro dell’Europa, deve trasformarsi in un baluardo dell’Occidente.
E il cancelliere Scholz, a parte gli ingenti investimenti nella nuova guerra (100 miliardi in più nel budget della Difesa, 3 miliardi di aiuti militari all’Ucraina), non pare proprio avere il carattere e la statura per traghettare la Germania nella sua nuova fase storica.