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 2023  giugno 05 Lunedì calendario

Biografia di Adam Smith

Il 5 giugno del 1723 veniva battezzato (e la data da allora è fatta coincidere con quella di nascita) a Kirkcaldy in Scozia, una cittadina distante meno di 20 km in linea d’aria da Edimburgo, Adam Smith, l’economista e filosofo scozzese che ha cambiato il corso della storia del pensiero.
Il piccolo Adam rimase orfano di padre, avvocato e funzionario doganale, appena due mesi dopo il parto ma la madre non si perse d’animo e allevò il figliolo fino a che a 14 anni (come era normale all’epoca) fu ammesso all’Università di Glasgow dove studiò filosofia morale sotto la guida di Francis Hutcheson, uno dei principali esponenti dell’Illuminismo scozzese. Nel 1740 approdò ad Oxford, che per la verità non lasciò in lui una grande impressione: “La gran parte dei professori ha ormai rinunciato persino a pretendere di stare insegnando”. Smith riteneva le università scozzesi di qualità superiore ad Oxford e Cambridge e secondo lui la causa risiedeva nel fatto che negli atenei inglesi i professori venivano pagati a prescindere dalla loro abilità di attrarre studenti. Insomma, le regole del mercato non venivano rispettate.
Lasciata Oxford nel 1846 il Nostro cominciò ad insegnare prima ad Edimburgo (dove nel 1750 incontrò David Hume, il grande filosofo scettico di cui rimase amico per tutta la vita) e, dal 1751, prima logica e poi filosofia morale a Glasgow, finché fu assunto come precettore dal Duca di Buccleuch il che gli consentì non solo di girare l’Europa ma di sistemarsi economicamente per il resto della sua vita giacché l’aristocratico gli assegnò una rendita vitalizia e lo aiutò a essere nominato come commissario delle dogane ad Edimburgo. Dopo una serena vita di studi Smith passò a miglior vita il 17 luglio del 1790.
Il filosofo è noto soprattutto per il suo libro del 1776, La ricchezza delle nazioni, che trattò per la prima volta in modo sistematico la disciplina economica e fece di lui per l’appunto “il padre dell’economia politica”. Tuttavia, nel 1759 aveva pubblicato un’opera, Teoria dei sentimenti morali, che all’epoca aveva avuto un buon successo.
In questo libro Smith si concentra sulle relazioni interpersonali e sviluppa il concetto di “simpatia” (che oggi chiameremmo “empatia") nell’uomo, la cui presenza fa sì che esistano nella sua natura “alcuni princìpi che lo rendono partecipe alle fortune altrui e che rendono per lui necessaria l’altura felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”.
È una visione ottimistica della natura umana aiutata dalla presenza di uno “spettatore imparziale”, una specie di coscienza innata, che ci giudica con gli stessi occhi degli altri. Moderazione, benevolenza, socialità e la “conversazione” (quindi il pacato confronto di idee) sono i cardini della filosofia morale di Smith.
È compatibile questo approccio con il self-love che il filosofo di Kirkcaldy pone alla base dell’azione economica? Ricordiamoci la celeberrima frase della Ricchezza delle nazioni: “Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che hanno cura del loro interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro self-love e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi”. Sul tema, denominato Das Adam Smith Probleme (in quanto sollevato dai sempre precisi tedeschi), si è parlato a lungo ed oggi la risposta più accreditata è che non ci sia contraddizione. Mentre nella Teoria dei sentimenti morali viene affrontata la questione di come l’essere umano si pone nei confronti dei suoi simili, nella Ricchezza delle nazioni si descrive la società impersonale, fatta di rapporti economici.
Anzi, fedele alla tradizione illuministica scozzese attenta all’eterogenesi dei fini, Smith chiosa nell’altro celebre passo della Ricchezza delle nazioni: “Invero (l’imprenditore) né intende promuovere l’interesse pubblico né sa quanto lo promuova.(...); dirigendo quell’industria in modo tale che il suo prodotto possa avere il massimo valore egli mira solo al proprio guadagno e in questo, come negli altri casi, egli è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni”.
Molto altro ci sarebbe da dire di Smith: la descrizione del meccanismo della domanda e dell’offerta, l’allocazione efficiente del capitale come fattore del progresso economico, l’importanza della divisione del lavoro e del capitale umano, i pericoli dell’alienazione del lavoro manuale ripetitivo da curare per quanto possibile con l’istruzione, il ruolo limitato dello Stato (che però può occuparsi di opere pubbliche), l’importanza di una congrua retribuzione (nessuna società è fiorente “se la maggior parte dei suoi membri è povera e miserabile"), l’avversione alle corporazioni, la teoria erronea del valore-lavoro delle merci, i vantaggi della concorrenza e del libero scambio rispetto a monopolio e protezionismo (di qui il suo anticolonialismo), la divisione dei poteri nello Stato di diritto.
Tutte questioni, intuizioni e proposizioni che hanno retto la sfida dei secoli e che ancor oggi continuano ad essere discusse, criticate o elogiate, ma che consegnano il mite economista scozzese al Pantheon dei più grandi ed originali pensatori di tutti i tempi.