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 2023  giugno 04 Domenica calendario

Intervista a Guido Tonelli

«Non esultavamo, nemmeno parlavamo. Guardavamo quei dati capendo di avere davanti a noi uno dei segreti primordiali della natura.
Un po’ come i protagonisti di Jurassic Park quando vedono per la prima volta i dinosauri». Guido Tonelli a fine 2011 è il capogruppo dei fisici di Cms: uno degli strumenti scientifici che al Cern di Ginevra danno la caccia al bosone di Higgs. «Lo si cercava dagli anni ’70. E ora nei nostri dati compariva un segnale chiaro».
Anche Atlas, il rivelatore compagno e rivale di Cms guidato da Fabiola Gianotti, notava lo stesso segnale. La scoperta del bosone di Higgs, l’ultima particella fondamentale del modello standard della fisica, detta “particella di Dio”, fu annunciata nel 2012. Oggi Tonelli, 72 anni, ha lasciato la cattedra all’università di Pisa, ma lavora ancora al Cern. Scrive libri di divulgazione. Materia, l’ultimo di una trilogia iniziata con Genesi e Tempo, è appena uscito in libreria.
Come festeggiaste quel segnale?
«Festeggiare? Non ne abbiamo parlato con nessuno. In fisica si annuncia una scoperta quando è sicura. A quel punto bisognava cercare di ammazzare il segnale».
Ammazzare il segnale?
«Immaginarne i punti deboli, i possibili errori. Ma le settimane passavano e il segnale dell’Higgs restava lì. Allora è arrivato anche il resto: l’annuncio, i giornali di tutto il mondo, il vino e le risate alla festa dei Nobel. Ma il momento più bello è stato quello: quando coi colleghi osservavamo i primi dati in silenzio.
Chissà se era la stessa emozione di Colombo o Livingstone. Qualcosa di atavico, profondo, struggente».
Ma Livingstone-Tonelli come era arrivato fin lì?
«Non lo so neanch’io. Ero un bambino di campagna, figlio di un ferroviere e sognavo di fare il calciatore. Vivevo nei caselli delle stazioni della Lunigiana con il rumore dei treni nelle orecchie. Mio padre manteneva 8 persone, mangiavamo quasi solo patate e fagioli, ma di quell’infanzia ho un ricordo meraviglioso».
Come riuscì a continuare gli studi?
«I maestri di scuola dissero a mio padre: fate studiare il ragazzo. In famiglia tutti avevano a malapena la terza media. Io fui mandato al liceo classico a La Spezia. Ero pieno di sensi di colpa e la mia salvezza fu ottenere il presalario all’università.
Era come se il mio paese mi stesse dicendo: abbiamo fiducia in te.
Risparmiando, mangiando a mensa o con grandi spaghettate fra amici, riuscivo a pagarmi le vacanze e anche a offrire una pizza ai miei».
Non altrettanto possono dire i ragazzi che protestano nelle tende.
«Sono fin troppo buoni. I governi ascoltano le istanze di tante categorie e poi abbandonano chi si forma per il futuro del paese. Le cifre per il diritto allo studio sono irrisorie rispetto ai miei tempi. Mandare un figlio all’università è diventato difficile anche con due stipendi. Oggi non mi sarei potuto permettere la laurea».
Dal liceo classico alla fisica?
«Dovevo fare architettura, la mia passione, ma la settimana prima di iscrivermi incontrai un amico reduce dal primo anno. Sapessi, mi raccontò, la mattina lezione, il pomeriggio disegno, non hai un momento libero, sono 5 anni e 30 esami. Io, che aspettavo l’università per sentirmi libero, esplorare il mondo e conoscere le ragazze, mi bloccai.
Scelsi fisica: 4 anni e 19 esami».
Idee confuse?
«Erano i mesi successivi al ’68.
Avevamo una curiosità del mondo famelica. Leggevamo ogni libro,guardavamo qualunque film, passavamo ore a discutere di tutto.
Sposavamo una tesi e la sostenevamo fino a quando non avevamo convinto i nostri avversari. Poi, ancora zeppi di energia, passavamo alla tesi opposta e iniziavamo a sostenere anche quella. Occupando il liceo scoprimmo la politica. Quando una squadraccia di fascisti provò a entrare a scuola, vennero gli operai di Pci e sindacati a darci una mano.
Ricambiammo manifestando ai loro scioperi. Nel frattempo era scoppiata la guerra del Vietnam. La polizia aveva ammazzato i braccianti ad Avola. Noi, manifestando per la pace, fummo bastonati dalla celere. Uno shock dopo l’altro. La passione per la politica è figlia di queste esperienze».
Ma la fisica quindi?
«Arabo, all’inizio. A lezione non capivo nemmeno di che argomento si parlasse. Il liceo classico però ci aveva fatto un regalo: la logica. E la logica in fisica è davvero importante. Interpretare i risultati di un esperimento a volte è come fare una versione di greco. Scoprii le regole del gioco e presto arrivarono i bei voti. Un paio di professori, coi loro sguardi, mi fecero capire che ce l’avrei fatta. Nacque una passione bruciante. La prima volta al Cern, dopo la laurea, ero un ragazzino sbarcato nella sua Hollywood».
Cms e gli altri rivelatori sono definiti cattedrali della scienza. Rivincita dell’architettura?
«In tutta la fisica simmetria e bellezza delle teorie sono importanti. Cms poi l’abbiamo costruito in 25 anni di lavoro dannato. La scoperta dell’Higgs sembra una marcia trionfale, in realtà è stata un incubo.
Nessuno aveva mai realizzato strumenti del genere. Ci sentivamo dire che avremmo fallito, i componenti costavano troppo, nessuna industria li avrebbe costruiti, non avremmo fatto in tempo. E sapevamo che era tutto vero. Avevamo in media un problema insormontabile ogni due anni. Eravamo così abituati a finire al tappeto che quando Cms ha iniziato a funzionare abbiamo pensato al miracolo».
La scienza è unmondo che sa essere anche cattivo?
«E meschino, e invidioso. C’è la legge Cabibbo-Kobayashi-Maskawa, ma il Nobel nel 2008 è andato a Kobayashi e Maskawa. Uno vincitori precedenti aveva posto il suo veto per un vecchio conflitto con Nicola Cabibbo».
È vero che Sergio Marchionne le chiese consigli di lettura sulla fisica?
«Ero alla Ferrari per un’intervista alla loro rivista. Marchionne mi invitò da lui ed esordì: “Io mi sono sempre occupato di cazzate. Dicono che abbia fatto grandi cose, ma non ne resterà niente. A restare saranno le cose che fate voi”. Non era piaggeria.
Aveva capito una cosa importante».
Cosa?
«Che la scienza oggi muove il mondo. È un sistema di conoscenza che supera il potere di governi e aziende.
Chi lo domina, domina tutto.
Nessuno oggi può permettersi di dire “non mi piace”, perché è la chiave di interpretazione della realtà più potente che abbiamo. Scrivo libri di fisica accessibili a tutti per mettere questo strumento a disposizione della mia polis. Solo un’umanità consapevole può usare strumenti così potenti, come l’intelligenza artificiale, senza il rischio di farsi male».