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 2023  giugno 04 Domenica calendario

Una giornata in cantiere

Stefano guarda in su e non riesce a crederci: «Com’è possibile?», sbotta, «vi hanno appena dissequestrati e siete di nuovo messi così?». La giovane ingegnera, coordinatrice per la sicurezza del cantiere, allarga le braccia: «Qui siamo sempre sul filo del rasoio, ma ci stiamo lavorando, giuro...».
Tre piani di cemento armato ingabbiati tra tubi Innocenti e assi di legno. Tutt’attorno, la campagna laziale intrisa di pioggerella di primavera. Una scena banale, d’una quotidianità quasi noiosa. Eppure, i pericoli ci sono, e nemmeno troppo nascosti: una distanza di mezzo metro di troppo nei ponteggi, un disallineamento nel terrapieno, una scala senza protezione, una buca irta di tondini appena sotto la balaustra, telai instabili; piccole trappole in attesa del destino. Si costruisce una «villetta bifamiliare a uso residenziale», recita il cartello di inizio lavori sul cancello: è un cantiere medio, una decina di operai. Mentre arriviamo, alle nove del mattino, ne scorgiamo due a volteggiare su in cima, sopra i ponteggi.
Lassù, dal secondo piano, a gennaio è caduto un manovale. «Avevano tolto due sbarre per passarsi le tavole a mano, lui ha perso l’equilibrio... è andata bene, s’è rotto solo un piede», mi raccontano con un certo fatalismo (un anno fa, a pochi chilometri di distanza, andò peggio a un manutentore, precipitato da un lucernaio e morto dopo un volo di quindici metri). È intervenuta la Asl, ha messo i sigilli, denunciato la ditta. La proprietà ha cambiato impresa, il cantiere ha riaperto. E adesso gli ispettori del lavoro sono di nuovo qui, a fare la lista delle irregolarità, a bloccare tutto daccapo, forse per un altro mese.
Resta nell’aria una domanda insidiosa: «Come avete fatto a ripartire?».
È vero che la sicurezza in cantiere evolve. Così la risposta classica alle nostre con-testazioni è: l’avrei fatto, stavo per farlo
Mattina di maggio, la Festa del Lavoro celebrata da poco, coi suoi carichi di promesse vane sulle morti bianche da evitare. Area metropolitana di Roma, zona nord-est. Niente coordinate più precise, nemmeno il nome di questo paesone zeppo di maestranze, storia e buona volontà: è il patto per accompagnare i tecnici impegnati nel sopralluogo, onde evitare grane. Le grane, nei cantieri italiani, possono essere frequenti quasi quanto gli incidenti. Basta cercarsele. Stefano è un geometra dell’Ispettorato territoriale del Lavoro di Roma, fa questo mestiere per passione da trent’anni, non è tipo da tirarsi indietro sulla sicurezza, la sua materia: «Come è possibile che la Asl sia tornata qui e abbia dissequestrato un cantiere con il ponteggio non a norma? Perché non c’è una relazione idrogeologica sulla parte instabile del terreno?». «Il cantiere è un’entità in divenire», sostiene l’ingegnera, sua antagonista, virando sul metafisico: «Oggi è così, domani è già diverso... forse dobbiamo tirare un po’ di sale, per scaramanzia». Forse. Ma di sale ce ne vorrebbero sacchi dalle Alpi a Lampedusa, obietto. «I controlli sono giusti, intendiamoci: ci sono troppi morti, dobbiamo trovare la quadra», ammette lei.
La quadra, per ora, non si vede. Tre morti al giorno in Italia sono il bilancio di una guerra. Nel 2022 sono stati 1.090, quasi 700 mila gli infortuni. Lo scorso ottobre, nella giornata dedicata alle vittime di questi incidenti, Mattarella ha usato parole dure: «Lavorare non può significare rischiare la propria vita. È un fenomeno inaccettabile in un Paese moderno che ha il lavoro a fondamento della vita democratica». Non è cambiato nulla, non cambia mai. Nei primi tre mesi del 2023 i morti sono stati 196, gli infortuni 86 mila: il 90% di essi si concentra nelle imprese piccole e medie, che rappresentano oltre l’80% del tessuto economico. Un lavoratore su quattro ritiene di essere in pericolo, secondo ricerche dei media specializzati.
«È vero che la sicurezza in cantiere è un concetto dinamico. Il cantiere evolve. Così, la risposta classica alle nostre contestazioni è sempre: l’avrei fatto, stavo per farlo», medita Stefano. L’appuntamento con lui, ispettore tecnico sulla sicurezza, Stefania, ispettrice amministrativa sul lavoro nero, e i tre colleghi che li affiancano, Titti, Antonio e Laura, è dietro il bar del paese: caschetti gialli, pettorine blu e scarpe rinforzate saltano fuori dai bagagliai, l’armatura immancabile dello staff. Stefano è uno dei dodici (sì, dodici...) tecnici che controllano la sicurezza sui luoghi di lavoro in tutta Roma e provincia, un territorio immenso che arriva fino a Civitavecchia a Nord e fino a Colleferro a Sud. Resta un ottimista: «Le cose miglioreranno. Abbiamo indetto i concorsi», ricorda, «poi ci sono stati i ricorsi...», come al solito. Così è rimasta bloccata la chiamata di 1.174 nuovi ispettori su tutta Italia. Servono, eccome, le forze nuove. Nei blitz si va sempre in cinque o sei perché, specie in caso di dipendenti in nero, appena spuntano le pettorine blu dell’Ispettorato, gli operai scappano a gambe levate, nei ristoranti o nei bar puoi trovare camerieri senza contratto nascosti negli armadi. Quando capitano i clandestini, la procedura cambia, bisogna avvisare i carabinieri. Nei locali la piaga più grossa è proprio il lavoro nero, nei cantieri la sicurezza, «a Roma interveniamo più volte al giorno sugli infortuni». I lavoratori sono spesso tiranni di loro stessi, vittime tramutate in complici per non perdere il posto: «Mentono per coprire il padroncino. In un cantiere una volta ho trovato un manovale ancora in cima a un’impalcatura benché il cantiere fosse sotto sequestro, gli ho chiesto cosa facesse lassù, mi ha detto: ho un appuntamento...», ride amaro Stefano.
I manovali mentono per coprire i padroncini Uno ancora in cima ai ponteggi mi disse che era lì per un appunta-mento
Nel nostro giro mattutino troviamo in zona almeno una decina di cantieri chiusi ma non finiti, sospesi a metà, «effetto del Superbonus bloccato», mi spiega Stefania. Prima il Covid ha desertificato l’economia e creato un disperato bisogno di occupazione, poi freni e controlli si sono allentati, il 110% ha drogato il mercato, ora arriva il contraccolpo. Queste oscillazioni violente alimentano insicurezza e confusione.
Alla fine, arriviamo alla villetta in costruzione. Sul cancello ci apre Stan, accento dell’Est, disponibile, neppure troppo sorpreso. «Nei cantieri ormai sono abituati ai nostri sopralluoghi», mi spiega Stefano. Stefania controlla con i colleghi contratti, orari, retribuzioni; parla con i manovali, uno per uno: e la prima verifica fila liscia. Gli operai, tutti in regola, sono romeni, erano la squadretta di un’impresa più grande, poi si sono messi in proprio, questo è il primo cantiere tutto loro; «Giorgio» è il capomastro, sta in Italia da quando l’Unione europea gli ha aperto le porte, quasi vent’anni fa: «In Romania ero un ragioniere», mi dice, «ma meglio manovale qui che ragioniere lì! Da noi ci sono i ricchi e i poveri, e niente in mezzo. E io voglio diventare medio... Non ricchissimo, eh, perché se no devi rubare, e io non rubo, solo medio». Ha una moglie moldava, due figlie che a Roma vanno all’università e lo riempiono d’orgoglio, qui si sente a casa ormai. Si giustifica per le impalcature un po’ sgarrupate: «Il Superbonus ha fatto esaurire i pezzi per i ponteggi, non si trovavano, li portavamo anche dalla Romania, non omologati».
Ma sulle impalcature, su quei ponteggi «in cattivo stato di conservazione» secondo i nostri ispettori, stanno arrampicati gli operai suoi compagni. Così, scampata la verifica sui contratti, quella sulla sicurezza si mette subito male. E, in breve, si materializza il padrone della palazzina, il committente, un settantenne con mezzo secolo di esperienza nel settore e una bella storia di famiglia, non certo un padrone delle ferriere: tra i mattoni c’è nato, i suoi nonni facevano laterizi, lui si sognava architetto ma non ce l’ha fatta, a casa c’era da tirare la carretta: «Però m’è rimasta la passione, perciò continuo a costruire, ma non conviene, mi creda».
Dopo la pandemia s’è fatto tutto più selvaggio, è difficile tornare indietro. C’è smania di ricostruzio-ne Anni 50
Vende anche ceramiche all’ingrosso, ha rifornito a lungo Caltagirone, dice. E per questo cantiere s’era affidato a un’impresa di Frosinone che conosceva da quarant’anni, gente dell’ambiente: vatti a fidare! «Mi hanno fatto danni indicibili». Già lo scorso 20 dicembre la coordinatrice per la sicurezza (la giovane ingegnera che abbiamo già incontrato) aveva contestato all’impresa ponteggi non a norma. Tutto inutile: il 23 gennaio l’infortunio quasi annunciato, la paura, il sequestro. «Alla Asl sono stati bravi, hanno fatto presto, abbiamo riaperto il 20 marzo. E io ho cambiato impresa». Avanti con «Giorgio» e i suoi, il risultato non cambia granché: anche se stavolta, per fortuna, gli ispettori del lavoro sono arrivati prima di un nuovo incidente. Tra telai che ballano, putrelle che sbucano come lance achee e scale che si spalancano su possibili sventure, si profila una stangata da trentamila euro e trenta giorni di sospensione. «Siamo più poveri dei poveri, ora anche la multa», scuote il capo Adrian, togliendo il caschetto di protezione: qui ciascuno è anche carnefice di sé stesso; al bivio infernale tra un infortunio possibile e una disoccupazione certa, la scelta è quasi scontata, come al solito. Il sequestro è a carico della ditta romena, obbligata entro quei trenta giorni a rimediare (gli ispettori verificheranno con un nuovo sopralluogo). Per adesso, sembra d’intendere, pagherà il padrone della villetta. Che allarga le braccia, le multe non si direbbero il cruccio maggiore: «Non si può più lavorare. Se vai al Comune di qua, ci mettono sei mesi per un certificato. Ma a Roma è peggio, ti dicono “portami il caffè”...», ammicca. Mi indica una palazzina ben rifinita, qualche centinaio di metri a valle: «Vede quella? L’ho fatta io, ci dovevo mettere due anni, ce ne ho messi tre e mezzo». Come un gioco dell’oca, stop and go continui, imprevisti e ritorni alla casella del via. Visto da dentro un cantiere edile è un labirinto di eventi possibili: un buon motivo per chiuderlo, volendo, lo si trova sempre; così come un buon motivo per lasciar correre, mi pare di capire, anche se nessuno può mai dirlo apertamente.
La giovane ingegnera ha trentotto anni, è della zona. Si divide fra due figli piccoli e altri sei cantieri, «sono multitasking, come tutte», sorride. È molto diretta. Dice che dopo la pandemia tutto s’è fatto più selvaggio, «e adesso è difficile tornare indietro». C’è stata questa smania da «ricostruzione anni Cinquanta», per come gliel’hanno raccontata i nonni, così i controlli sono andati a farsi benedire, non che prima fossero draconiani, ammettiamolo. «Fare la coordinatrice per la sicurezza è un lavoraccio, gliel’assicuro: l’incidenza enorme degli infortuni è proprio figlia di una mancanza di cultura della sicurezza». Mancando la cultura, non resta che contestare le violazioni, reprimere, almeno quando si arriva in tempo. «Gravi violazioni di sicurezza», annota dunque Stefano nel provvedimento di sospensione del cantiere. Tutto a mano. Per fare la copia del verbale da rilasciare all’impresa, tira fuori... un vecchio foglio di carta carbone. Lo guardo sbalordito e lui mi anticipa: «Lo so, fa ridere. Ma le assicuro che funziona. Meglio di un computer». E dal fronte della prevenzione nel Terzo millennio, per oggi, è tutto.