Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 04 Domenica calendario

Quei 12 cavalli morti e l’ombra del doping. Chiude l’ippodromo del Kentucky Derby

È come se a Roma l’ippodromo di Capannelle fosse stato chiuso, e le sue corse relegate in un piccolo impianto di una cittadina vicina, a causa della morte di 12 purosangue nel mese precedente l’evento più importante della stagione di galoppo, il Derby: eppure è esattamente quello che sta succedendo a Louisville nell’ippodromo di Churchill Downs, il «tempio» del galoppo americano, che da un secolo e mezzo ogni primo sabato di maggio ipnotizza gli interi Stati Uniti (come davanti alle tv sa fare solo il Superbowl) e calamita 150 mila spettatori ad assistere dal vivo al Kentucky Derby, prima prova della Triplice Corona completata nelle successive settimane dalle Preakness Stakes a Pimlico e dalle Belmont Stakes a New York.
Proprio perché il fondo di sabbia della pista non è parso presentare problemi visibili, e la Commissione di sicurezza non ha saputo trovare una spiegazione alla sfilza di incidenti fuori da qualunque logica statistica, l’ippodromo è stato chiuso fin quando non si saranno trovate le cause dell’ecatombe di cavalli, e le gare sono state spostate nel piccolo ippodromo di Ellis Park, a Henderson.
Una sorpresa fino a un certo punto, però. Non solo perché poco prima, in aprile, le corse erano già state sospese a Laurel Park, l’ippodromo di Baltimora dove altri due cavalli erano morti portando già a 23 le vittime di questo anno dopo gli otto morti dell’anno prima, per un totale di 277 dal 2014. Ma soprattutto perché proprio alla vigilia del Kentucky Derby ben 5 partenti su 18 erano stati ritirati all’ultimo, e tra essi il superfavorito Forte, a dire del suo team per un infortunio a una zampa, in realtà perché trovato positivo a un vietato antinfiammatorio (e perciò poi squalificato) nelle Hopeful Stakes vinte sette mesi prima a Saratoga: ed era addirittura la terza volta di un Kentucky Derby macchiato dal doping, dopo il vincitore Medina Spirit nel 2021 e il laureato della Saudi Cup Maximum Security nel 2019.
Se mai, nella chiusura di Churchill Downs la vera notizia è la conferma che le autorità ippiche si stanno ormai rendendo conto di non potersi più permettere aree di tolleranza in uno sport diventato industria di primario impatto economico: basti pensare che a fine 2022 il 2,5% del campione Flightline, appena ritirato dalle corse e avviato a fare lo stallone, alle aste era passato di mano per una cifra che ne fissava il valore complessivo a 184 milioni di dollari.
Le ispezioni
Il fondo di sabbia della pista non è parso presentare visibili problemi di sicurezza
Il problema, però, resta che l’eterna rincorsa tra doping e antidoping vede i bari sempre un passo avanti almeno per un segmento di tempo, come dimostra la parabola di Jorge Navarro: cioè dell’allenatore condannato di recente a 5 anni di carcere e al rimborso di 25 milioni di dollari vinti dai suoi allievi dopati da un prodotto che, estratto dalla placenta di ovini, funzionava da vasodilatatore senza essere rilevato dai test. E che – guarda caso – solo le intercettazioni hanno fatto scoprire, in una inchiesta avviata dopo che il suo forte sprinter X Y Jet, nel 2019 a segno in Dubai nel milionario Golden Shaheen, l’anno successivo era stato stroncato da un infarto.
Incidenti in gara possono statisticamente capitare per definizione a cavalli-atleti iper selezionati e super allenati che con cinque quintali di muscoli e ossa galoppano sui sottili garretti di cristallo a 50/60 km l’ora: due settimane fa, ad esempio, a San Siro si è procurata in corsa una frattura non guaribile, e ha dovuto essere sottoposta a eutanasia, la puledra Nicol di Toni. Ma tassi di incidenti letali del 2 per mille, come quelli appunto di alcuni ippodromi americani, hanno invece a che fare non con la fatalità ma con spregiudicati trattamenti terapeutici volti a far superare agli atleti i limiti posti loro dalle doti naturali.
Non a caso ora la Hisa (Horseracing Integrity and Safety Authority), vinto l’ostracismo di non pochi veterinari, potrà piombare nelle scuderie (quando e dove lo riterrà opportuno) a fare controlli sui farmaci somministrati.