Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  giugno 03 Sabato calendario

Tornano i CCCP

Cielo padano finalmente terso dopo le grandi piogge: per chi aveva vent’anni negli anni Ottanta questo è un luogo della memoria.
Quello dove nacque la più originale, potente e intelligente incarnazione di un fenomeno, il punk, che ancora oggi lascia tracce: i suoi profeti erano, anzi sono, i CCCP – Fedeli alla Linea: Giovanni Lindo Ferretti, voce; Massimo Zamboni, chitarra; Annarella Giudici, benemerita soubrette; Danilo Fatur, artista del popolo. Un passo indietro per chi non conosce la storia.
Come vi siete incontrati?
Giovanni Ferretti: «Io e Massimo non ci conoscevamo. Una sera a Berlino vado in un locale con un’amica, ero febbricitante e la mattina successiva volevo partire per un paese del Nordafrica. A un certo punto vedo un tipo che balla a torso nudo una canzone dei Doors: sulla pista solo lui. Era Massimo Zamboni».
Danilo Fatur: «Da old frichetòn!».
Perché nel lontano 1982 avete deciso di fondare i CCCP?
Massimo Zamboni: «Per salvarci la vita: capire cosa fare in quel momento in cui hai finito di studiare, il mondo ti appare molto grande e sono molte le possibilità davanti a te, ma poche ti convincono».
E l’immaginario filosovietico?
M.Z.:«Ai tempi era facile venir schiacciati dall’immaginario angloamericano e quindi un po’ per andare contro questa cosa, un po’ perché venivamo dall’Emilia rossa».
G.F.:«Molto tempo prima di fare un disco facevamo già concerti. Tra l’altro qualche giorno fa è saltata fuori la registrazione del nostro primo concerto fatto a Reggio».
Questa è una notizia: com’era?
Annarella Giudici: «C’era anche mio fratello Zeo alla batteria».
M.Z.:«C’era già dentro tutto quello che siamo. In quel periodo abbiamo suonato per un anno e mezzo, così sono arrivate man mano le canzoni».
A.G.:«Ci piacevamo tanto e ci piaceva fare le cose insieme. Quando ci preparavamo per andare a ballare era una meraviglia: ci pettinavamo, ci truccavamo, ci vestivamo reciprocamente. Creavamo un nostro mondo che poi portavamo fuori e contaminava quello reale».
Manca Fatur, come avviene il vostro incontro con lui?
D.F.:«C’erano due ragazze punk, la Mirca e la Sandrina, che mi avevano detto: “Abbiamo aperto un locale, vieni a lavorare con noi?” Era un circolo autogestito che si chiamava Tuwat, a Carpi, così mi sono trovato in mezzo a questo movimento punk e politico. Mi son detto: “Voglio fare qualcosa anch’io” e mi sono messo a fare degli striptease uomo inventandomi il nome. Sotto avevo aggiunto anche: “Reduce da una lunga tournée nei club sadomaso di New York, Parigi, Barcellona”. Non era vero niente ma attirava».
Da dove veniva il nome Fatur?
D.F.:«È il cognome vero della mia mamma che non si è mai sposata ma aveva sette figli ed era di Fiume».
G.F.:«In realtà Fatur è arrivato perché noi percepivamo una mancanza. La nostra musica non era qualcosa che ascoltavi come sottofondo: o ti prendeva o scappavi.
Però avevamo un problema: il batterista non c’era o quando c’era scappava, così Zamboni un giorno è arrivato con una scatoletta elettronica verde stile DDR che aveva sei ritmi; mettendoli insieme tutti si otteneva quello dei CCCP.
Funzionava ma mancava la fisicità,così abbiamo pensato a Fatur. E ad Annarella che, non solo era bellissima, ma se le mettevi addosso qualsiasi straccio, diventava comunque meraviglioso».
A.G.:«Mi sono riconosciuta subito in quello che rappresentavano i CCCP, per cui salire sul palco con loro non è stata una decisione ma un processo molto naturale per me».
Prima dei CCCP tu Giovanni eri un militante di estrema sinistra, giusto?
G.F.:«Oddio, estrema (ride).Sono stato un militante di Lotta continua.
Reggio Emilia allora era una città molto politicizzata: mio fratello più grande era della Fgci, io prima ero vicino all’area del Manifesto e poi sono finito a Lotta continua perché era molto più affascinante, più vitale, più carnale, meno ideologica».
E poi ad Autonomia Operaia?
G.F.:«Facendo l’università a Bologna, in realtà mi sono ritrovato a vivere in una condizione molto al limite fra Lotta continua e quello che era il mondo dell’autonomia. Frequentavo la casa di Bifo perché eravamo amici, per interposte persone e quindi sì, ero vicino a quella dimensione da cui poi è nato il ’77 bolognese».
Con Bifo siete rimasti in contatto?
G.F.:«Assolutamente no. Lui aveva attorno a sé già un’aura da leader, io ero un militante insignificante dal punto di vista politico, ma quella era la mia vita, il mio quotidiano».
Un tuo amico era stato ucciso in quegli anni, Alceste Campanile.
G.F.:«Una storia molto triste, molto, tipica degli anni Settanta. Dubito che i CCCP avrebbero potuto formarsi in altre circostanze però al tempo stesso noi contenevamo anche una parte di reazione alla militanza come la si intendeva ai tempi perché andavamo al di là della politica, scavando invece nel profondo dell’umano».
Come vi siete ritrovati oggi?
M.Z.:«Le prime avvisaglie sono state la ripubblicazione deIl libretto rozzo dei CCCP in cui io e Giovanni abbiamo scritto due nuove prefazioni: questa cosa ci ha portato a rileggere i testi equindi ripensare alla storia. E poi c’è stata la proposta di partecipare aKissing Gorbaciov, un film documentario sui concerti di alcuni gruppi italiani che il Comune di Melpignano aveva organizzato in Unione Sovietica nel 1989».
A.G.:«Questo incontro ci ha riportati vicini fisicamente e ci siamo resi conto di trovarci bene».
M.Z.:«Il giorno dopo io e Annarella siamo andati dal sindaco di Reggio e dal direttore di Palazzo Magnani a proporgli una mostra e siamo usciti con un sì».
Adesso che la Russia è tornata al centro delle narrazioni ritornano i CCCP: è un caso?
G.F.:«Un po’ sì e un po’ no: io ho detto sì al documentario perché ero convinto che adesso che la Russia è tornata a essere considerata l’Impero del male e si butta via persino Dostoevskij, questi ragazzi non ce l’avrebbero mai fatta... (ride)».
A.G.:«Stanno lavorando da anni a tutto questo attraverso il crowfunding e vorrei dire il loro nome: si chiamano Smk Factory (per contribuire: “Sostieni.link/32371”)».
Il 21 ottobre qui a Reggio Emilia ci sarà una “Gran serata punkettona”: cosa succederà?
G.F.:«Non lo sappiamo ancora ma sarà una serata di gala».
Per cui tutti vestiti da punk?
G.F.:«No, perché quello diventerebbe caricaturale».
A.G.:«Non sarebbe interessante, oggi siamo cambiati, no?».
M.Z.:«Diciamo che non ci vestiamo da CCCP (ridono)».
Quindi abbiamo la speranza di vedervi di nuovo suonare?
G.F.:«Come fai a togliere la speranza? Non ci possono essere reunion perché, non essendoci mai sciolti, non c’è niente da riunire».
A.G.:«Bisognerà esserci!».
E prima ancora, dal 12 ottobre ai Chiostri di San Pietro, ci sarà una grande mostra, “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla Linea 1984 – 2024”. In che cosa consiste?
G.Z.:«C’è una parte terapeutica nel mettere insieme questa mostra perché ci fa ripensare le cose. Ci fa anche apprezzare quello che allora, essendoci così dentro, non eravamo in grado di fare».
A.G.:«Non è la mostra di un gruppo musicale che è stato. C’è anche questo, ovviamente, ma è più la rappresentazione di un mondo di chi non si riconosce nella realtà attorno».
M.Z.:«Non è una retrospettiva ma in parte uno sguardo al presente e al futuro perché, per esempio, ci sono brani come Punk Islam che allora aveva un significato e nel contesto odierno finisce per averne un altro».
G.F.:«Il fatto che si tenga ai Chiostri di San Pietro mi tranquillizza molto perché quella è la parte della città che sento profondamente mia. Poter raccontare lì una storia non comprensibile interamente neanche a quelli che l’hanno costruita è una sfida. Che avviene in un momento in cui, in maniera tragica e ridicola, si torna di nuovo lì: a un mondo diviso in due. E noi siamo, ancora una volta, dalla parte sbagliata».
D.F.:«La gente ci rimaneva male: allevata nel mito del rock, era il colpo di teatro. I CCCP ti parlavano di marmo, acciaio, disciplina e…».
M.Z.:«“Depressione caspica”, per citare una nostra canzone (ride)».
D.F.:«Infatti io portavo in scena un muso di trattore, falci e martello, molle, trappole... Cose così».
G.F.:«Noi non facevamo finta di essere dei rocker ma abbiamo messo in scena il disagio di una generazione».
Tra l’altro vedo che tu e Annarella indossate una maglietta con la scritta di uno dei vostri pezzi più famosi, “Morire”, con la scritta “Produci consuma crepa”.
G.F.:«Non so quale angelo fosse sceso dal cielo a ispirarci per cantare negli Ottanta, nel pieno dell’edonismo e dell’esplosione del “tutto è facile e globalizzato”, una cosa del genere. Quarant’anni dopo direi che produzione e consumo hanno dei problemi. Crepa invece è rimasto uguale (ridono)».
Quindi sottoscrivereste anche oggi queste parole?
G.F.:«Io, di tutto quello che hanno scritto i CCCP, non cambierei una virgola».
Quel pezzo conteneva anche una citazione a Mishima e a Majakovskij.
G.F.:«Esatto: due riferimenti opposti. Uno è un rivoluzionario internazionalista, l’altro è un fascista nazionalista. Due grandi poeti, due grandi uomini, due grandi scrittori.