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 2023  giugno 03 Sabato calendario

Riscoprire Fausto Melotti


Nella pagine di due quaderni degli anni Cinquanta, finora mai esposti, Fausto Melotti disegna a biro e descrive le sagome dei suoi lavori in ceramica: «due vasi ovali con slargatura a mano», «4 coni, due stampati», «doppio uovo gallo con variazioni grande e piccolo»… Una volta modellati, essiccati, decorati, smaltati, li avrebbe cotti nel forno a muffola che si era procurato nel 1943 per lo studio di via Leopardi a Milano. Alcuni di essi riappaiono nella grande fotografia in bianco e nero, del 1954, che introduce alla Fondazione Ragghianti di Lucca la mostra dedicata aFausto Melotti. La ceramica,allestita nel Complesso di San Micheletto fino al 25 giugno, in collaborazione con la Fondazione Melotti e il Mic di Faenza: ritrae in primo piano l’artista e alle sue spalle la struttura ideata da Ettore Sottsass per esporre queste sculture di piccolo formato. Si materializzano, infine, nell’ultima sala, dove sono esposte nella loro materia trasfigurata, nei loro colori iridescenti, in tutta la loro cosmogonica trascendenza.
Fausto Melotti (1901-1986) si era rivolto a questo materiale, che definiva anfibio, misterioso, anzi «un pasticcio», dopo il doloroso insuccesso della sua prima personale alla galleria Il Milione, nel 1935. Aveva proposto diciotto sculture astrattiste in gesso, bronzo e creta, e nessuno le aveva capite, nessuno aveva scritto una riga. Del resto, «Tutto quello che un artista fa all’inizio è un fallimento», confida a Antonia Mulas in una lunga video intervista realizzata nel 1984. Perciò, «non volendo fare dei debiti, mi sono messo a fare ceramica, che è piaciuta molto». Vi si dedicherà assiduamente fino a tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, esplorandone le possibilità in ogni direzione, eleggendola a linguaggio privilegiato, come scrive Ilaria Bernardi, la curatrice della mostra, di una galassia in perpetuo movimento, in cui si fondono valori plastici e pittorici. Con alcuni esiti di intensità assoluta, quale è laLettera a Fontana, scolpita nel 1944 – ma esposta solo nel 1950 – qui accostata al Crocefisso nero e orodell’amico artista conosciuto all’Accademia di Brera nella classe di Adolfo Wildt. Melotti aveva compiuto studi di pianoforte, armonia e organo, frequentato la facoltà di fisica e matematica dell’università di Pisa e si era infine laureato in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano. I principi di armonia e contrappunto lo ispireranno tanto quanto le nozioni di equilibrio, di statica, di chimica apprese nelle aule universitarie. Losottolinea la stessa firma dell’artista, sette punti che corrispondono alle sette note musicali, e lo rammenta al visitatore, nelle sale della mostra, il suono in sottofondo dei Notturni di Chopin interpretati dal nipote prediletto, il pianista Maurizio Pollini.
Bassorilievi, oggetti di design svincolati dalla loro funzione e dalla figurazione, piastrelle che assemblate diventano mirabili mosaici, maschere come l’Arcidiavolo o figure ieratiche che acquistano i sembianti delle esili Korai, forme di animali, Teatrini, Cerchi, Bambini, sospinte verso l’astrazione e la stilizzazione: è questo il poliedrico itinerario evocato nella mostra della Fondazione Ragghianti, interpuntato dalle opere di altri autori della ceramica italiana. Una scelta analoga aveva fatto Carlo Ludovico Ragghianti alla fine del 1947 con lamostra Handcraft as a Fine Art in Italy promossa e portata a New York: riuniva opere e oggetti disegnati da Afro e Mirko Basaldella, Pietro Cascella, Filippo de Pisis, Piero Fornasetti, Renato Guttuso, Leoncillo, Marino Marini, e vi comparivano anche i vasi di Melotti. Il piccolo catalogo, esposto in mostra, progettato da Bruno Munari, è introdotto da un testo dello stesso Ragghianti. È il primo punto di contatto tra lo storico dell’arte lucchese e la ceramica di Melotti. Sullo sfondo, ieri come oggi, risuona il paradosso enunciato dallo stesso Melotti: «Mi vergognavo di queste ceramiche», aveva confessato, gli occhi chiari sorridenti, in quel dialogo con Antonia Mulas. «Non ero nato per fare quelle cose. Come chiedere a un poeta di fare della pubblicità. Poi ho visto le ceramiche di Picasso, e mi sono vergognato meno». Valeva ancora ciò che aveva affermato nel 1947: «Consiglierei a ogni scultore di dedicare ogni tanto un po’ di tempo alla ceramica».