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 2023  giugno 03 Sabato calendario

«Il mio primo ruolo mentre frequentavo brillantemente l’asilo, era in una pièce su Bernadette. Facevo la cuginetta, ero la più piccola e dovevo dire soltanto una frase: “Bernadette, c’è la Madonna” e dissi “Madonna, c’è Bernadette"»

«Il mio primo ruolo mentre frequentavo brillantemente l’asilo, era in una pièce su Bernadette. Facevo la cuginetta, ero la più piccola e dovevo dire soltanto una frase: “Bernadette, c’è la Madonna” e dissi “Madonna, c’è Bernadette"». Con la battuta involontaria con cui ha fatto ridere la platea la prima volta che è stata su un palco, Geppi Cucciari fa ancora ridere quasi mezzo secolo dopo il pubblico che ieri è andata a sentirla al Festival della Tv di Dogliani. Il dialogo con Pietro Galeotti è una grande lezione sulla comicità, ma anche di comicità: Geppi fa ridere anche quando spiega i meccanismi delle sue battute. «Faccio sempre lo stesso programma, solo che cambia orario o durata. Qualcuno se ne accorgerà», dice ripercorrendo le ultime tappe della sua carriera in tv, da Rai Pipol a Che succ3de all’ultimo Splendida Cornice.
Geppi capisce da bambina che il suo desiderio più grande è far ridere. In tv ci arriva una ventina di anni fa a Zelig. «Nel monologo la prima frase doveva essere autoironica su di me, la seconda autoironica su di me in quanto rappresentante dal genere femminile. La terza frase era ironica sul rapporto tra uomo-donna. Però le prime due parti sono state totalmente smarrite, l’attenzione si è concentrata sulla terza parte e io sono diventata quella che parlava male degli uomini. Ho smesso di fare Zelig quando mi è sembrato che la gente scambiasse quello che ero con quello che facevo». Geppi dà il meglio quando è nei suoi panni, con alcuni talenti rari sottolineati da Galeotti: la battuta pronta («è difficile che rimanga senza niente da dire»), ma soprattutto la capacità di fare uscire gli ospiti dai binari del concordato, del prevedibile, del copione preparato: lei scarta di lato e tira fuori quello che di autentico c’è dell’interlocutore, che sia un artista, un intellettuale o uno dei politici che passano da Rai Radio 1 per Un Giorno da pecora, che conduce con Giorgio Lauro.
Geppi fa ridere, ma ride poco degli altri comici: «Rido dentro. Ci sono un sacco di colleghi che stimo tantissimo e mi fanno ridere con la testa, però solo la vita mi fa ridere con il cuore. A me fanno ridere le persone che frequento, le mie amiche, la mia vita privata, i miei nipoti, perché nessuno di loro è deputato a farmi ridere. Mi diverte l’inaspettato, il non costruito». Anche per questo il pubblico in studio o collegato diventa parte integrante dei suoi programmi: «Perché a me le persone interessano davvero».
La cosa curiosa è che con la battuta sempre pronta, l’ironia che pervade tutto quello che fa e che dice, Geppi è gettonatissima per eventi serissimi, dalla conduzione della serata finale dello Strega fino alla cerimonia al Quirinale con i candidati ai David davanti al Presidente Mattarella, che con lei ha riso di gusto. «Secondo me Mattarella un po’ mi teme è un po’ mi vuole bene, come molti uomini della mia famiglia. Nel discorso che ho fatto davanti a lui mi è sembrato di essere sempre al limite del vilipendio», scherza Geppi che il primo giugno era anche ospite del ricevimento al Quirinale. «Tutti andavano a chiedergli qualcosa, a perorare una causa, io sono andata da lui e gli ho detto «Presidente, un catering stupendo», oppure «Presidente, ha visto che siamo diventati virali su TikTok?» e lui mi sorride e mi ringrazia, magari pensa “meno male, finalmente qualcuno che non mi chiede una cosa per cui devo sbattermi"». Si fa anche seria: «Sono empatica, sento la sua bontà. Gli voglio bene». E della cerimonia ai David svela un retroscena esilarante. Nel monologo c’era questa battuta su Mattarella: «Otto anni sei Governi cinque Presidenti del Consiglio 180 giorni di consultazioni e una sola espressione». Ma quando la dice e alza la testa per guardare il Presidente, vede proprio quella espressione. E qui il talento per l’improvvisazione viene fuori alla grande, la battuta si allunga al brucio: «Otto anni sei Governi cinque Presidenti del Consiglio 180 giorni di consultazioni e una sola espressione: quella! Bravo, la tenga». —