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 2023  giugno 03 Sabato calendario

Intervista a Silvana Sciarra

«Si può certamente regolare il lavoro nel mondo globalizzato, ma i tempi sono lenti e le risposte incerte, non facili da armonizzare – dice Silvana Sciarra, giuslavorista e presidente della Corte Costituzionale –. Il legislatore europeo potrebbe fungere da volano, ma tante altre vicende drammatiche attraversano il mondo e interferiscono con la scelta delle priorità che i regolatori si danno. Il lavoro non dovrebbe scomparire fra queste priorità».
A che punto è la tutela del lavoro regolato e pianificato dalle piattaforme digitali?
«È oggetto di una proposta di direttiva europea, che risale alla fine del 2021 e tiene conto delle esperienze negli Stati membri. Si tratta di una proposta originale che, con l’intento di introdurre tutele per i lavoratori, usa una nozione giuridica particolare: la presunzione di subordinazione».
In cosa consiste?
«Come dire che, secondo le normali tecniche interpretative adoperate nei rapporti di lavoro, non è così lampante la subordinazione dei lavoratori da un algoritmo. Eppure si possono adottare criteri che si adattano a questa nuova tipologia di lavoro. In Italia è stata la giurisprudenza della Cassazione a estendere ai rider le tutele tipiche del lavoro subordinato».
L’espansione dello smart working richiede nuove regole?
«La complessità, e insieme l’essenzialità, del lavoro da remoto è emersa durante la pandemia. Prima l’immagine prevalente era quella del freelance, in cerca di una scrivania su cui posare il computer. “Nomadi digitali” sono stati definiti in un bel libro di Aloisi e De Stefano, pubblicato da Laterza».
Definizione ancora valida?
«La pandemia ci ha consegnato un’altra immagine di “remoti e connessi": attenti a osservare le regole eccezionali dettate per contenere la diffusione del contagio e, al contempo, pronti ad adempiere con modalità nuove a quanto richiesto dai datori di lavoro. Forti i rischi di interferenza con la vita familiare; più accentuata quella che si suole definire “asimmetria informativa” nei rapporti di lavoro».
Più opportunità o più rischi?
«La distanza non necessariamente accentua l’autonomia nell’eseguire la prestazione di lavoro. Ecco perché si discute del “diritto a disconnettersi”, alla ricerca di un nuovo confine fra vita lavorativa e vita privata».
Come sta cambiando il diritto del lavoro in questo nuovo scenario?
«È molto difficile generalizzare quando si parla di un diritto del lavoro che cambia. In realtà questa materia ha sempre dato prova di grande duttilità, fin dagli albori, quando si è trattato di transitare dal diritto corporativo verso un ordinamento ispirato a principi di libertà. E poi ancora, nel corso degli anni, quando si è fronteggiata la stagione delle grandi trasformazioni nell’organizzazione del lavoro. Anche ora il diritto del lavoro sa creare una flessibilità buona, sa orientare verso tutele modulate sulla specificità delle nuove modalità di lavorare».
Servono nuove regole?
«Serve l’impulso di un legislatore che sappia ascoltare gli attori del cambiamento: le imprese, la pubblica amministrazione e i lavoratori, attraverso le loro organizzazioni rappresentative. Serve anche una memoria critica, e tuttavia completa, delle fasi evolutive che il diritto del lavoro ha attraversato. Ecco perché un festival come quello che si sta svolgendo a Torino è importante».
C’è una sensibilità ridotta?
«Spero si diffonda, soprattutto fra i più giovani, una cultura dell’appartenenza alla storia del lavoro e all’impegno profuso dai costituenti, oltre che da grandi maestri del pensiero giuridico riformatore. Il tema incombente da non trascurare è quello delle diseguaglianze: non è forse questa la sfida che ha guidato i costituenti nel secondo dopoguerra, in Italia come altrove? Non è questo il progetto-guida che anima le convenzioni internazionali e in seguito i paesi fondatori dell’Unione europea?».
Quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale?
«Difficile prevedere. Perfino i padri dell’intelligenza artificiale mettono in guardia dai molti pericoli dietro una sostituzione massiccia di funzioni che appartenevano solo agli esseri umani. Anche in questo caso, come nei grandi passaggi di trasformazione del lavoro, si deve fare ricorso a virtù semplici: l’equilibrio e il discernimento».
Come esercitarle?
«I vantaggi che l’intelligenza artificiale può portare, per esempio, nelle scienze mediche e nel contrasto all’emergenza climatica, vanno essere soppesati con i potenziali effetti destabilizzanti dei mercati del lavoro e l’esclusione delle persone dalla vita lavorativa».
Bastano le virtù o servono leggi?
«Centrale il ruolo del legislatore europeo nel controllare la raccolta di dati e nel misurare, limitandolo incisivamente, il potere dei grandi gruppi, i colossi del web che non sono confinati soltanto nel nostro immaginario. Centrale anche il ruolo delle Costituzioni, che nei paesi europei hanno segnato la strada dei diritti da garantire alle persone, fra tutti il diritto alla dignità».
Come è cambiata la Corte costituzionale negli anni del suo mandato?
«Nell’avviarmi verso la fine del mandato, mi capita spesso di pensare a giudici che ho conosciuto nel momento del mio ingresso e che ora non ci sono più. Ho un rimpianto sottile di non aver ascoltato abbastanza il loro insegnamento, eppure sento di avere imparato molto da loro. La Corte si rinnova attraverso le diverse personalità dei giudici e attraverso le loro disparate competenze, ma non perde di vista mai la sua bussola: la Costituzione».
Il vostro lavoro è diventato più difficile?
«Le sfide sono molteplici, perché sempre più complesso è il contenuto delle leggi e premono alle porte della Consulta diritti nuovi o, forse è più corretto dire, diritti che devono essere letti in modo nuovo, con attenzione al mutamento dei costumi sociali, all’avvento delle tecnologie, all’incombere delle trasformazioni climatiche e ambientali, all’invecchiamento della popolazione. La Corte è un’istituzione vitale, proprio per questo è garante dei diritti».
Continuerà la stagione delle sentenze “sospese” in attesa di un intervento parlamentare?
«Continuerà sempre il dialogo fruttuoso con le istituzioni democratiche, certamente con il Parlamento, verso cui la Corte mostra costante rispetto, fermandosi prima della linea di confine che ne segna l’autonomia e la discrezionalità. Le sentenze non sono propriamente sospese; talvolta è sospeso l’esito della loro piena applicazione, quando serve un intervento del legislatore per completarne il cammino».
Il Parlamento non si è dimostrato molto collaborativo.
«Su questo cammino da completare – tengo molto a sottolineare questo punto, che facilmente può essere travisato in una cronaca non scrupolosa – la Corte non esprime alcun giudizio, né propone valutazioni. La sua coerenza consiste nel decidere, talvolta affermando inequivocabilmente la violazione della Costituzione, talaltra accendendo una luce su aporie del sistema, segnalando incongruenze, senza mai voler indicare priorità, se non quella di un percorso da svolgersi dentro il perimetro costituzionale. Questo perimetro include – è bene ricordarlo – le sentenze della Corte, verso cui le altre istituzioni democratiche non possono non rivolgere il loro sguardo attento e consapevole». —