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 2023  giugno 03 Sabato calendario

Intervista a Marco Tardelli

«Mi ha già chiesto di Moana Pozzi», dice ridendo al figlio, che è sceso un attimo dal suo ufficio per salutarlo. «Tu sei molto orgoglioso, eh...», lo prende in giro il padre. «Dicevano sempre che ero il figlio di Moana, a scuola», replica il ragazzo. «Chissà la mamma come si arrabbiava! (la giornalista Stella Pende, ndr)». «Mi arrabbiavo io, non lei!», sbuffa Nicola Tardelli, 32 anni, secondogenito di Marco, il semidio del calcio che con i suoi compagni risollevò il morale di un Paese intero l’11 luglio 1982, battendo la Germania Ovest per 3-1 e conquistando la Coppa del Mondo davanti a uno scatenato Sandro Pertini.
Le è spiaciuto che Nicola non abbia fatto il calciatore?
«No, per niente. Sarebbe stato un problema per lui: avrebbe avuto sempre questo paragone col padre. O sei bravo come sono stati Maldini e Mazzola o è meglio fare altro. Però mi ha dato tanta soddisfazione anche dopo. Sia lui che la sorella, Sara».
Che squadra tifa?
«Io amo la Nazionale».
E non la Juve?
«Tifo anche la Juve, è la squadra che ho nel cuore: mi ha dato molto e io le ho dato molto. Però potrei dire la stessa cosa del Pisa che mi ha lanciato e del Como che mi ha permesso il salto alla Juve».
Oggi i tifosi dovrebbero essere più arrabbiati con la dirigenza o con la giustizia sportiva?
«Dovrebbero essere arrabbiati con chi ha sbagliato e secondo me ce ne sono tanti».
E non è sbagliato un processo a campionato in corso?
«Questo è un problema, perché falsa tutto».
Un ricordo dell’Avvocato?
«Le sue telefonate alle 6 del mattino. O quando mi feci male a una gamba e mi mandò il suo fisioterapista: prima della partita chiamò per chiedermi come stavo, risposi “vorrei tagliarmela, questa gamba”. E lui: “Lo dica a me...”. L’Avvocato non sarebbe potuto stare in questo calcio. Lui è quello che dopo la finale di Coppa dei Campioni persa ad Amburgo disse: “Doveva andare così”».
Perché andaste a festeggiare sotto la curva dopo la vittoria all’Heysel, nel 1985?
«Siamo solo andati a salutare i tifosi. Ma io ho sempre detto che non ho vinto quella Coppa».
Di chi fu l’errore?
«Di tutto il calcio: ci hanno obbligati a giocare. Era stata una scelta sbagliata mettere i tifosi in una curva sola».
Chi prese la decisione?
«Penso l’Uefa. E la polizia di Bruxelles decise di farci giocare perché sarebbe stato un dramma disperdere i tifosi».
E, invece, se dico Inter?
«Ci sono stato benissimo, sia da giocatore che da allenatore. Poi che non sia andata bene è un’altra storia. Però ho dei bei ricordi: ho fatto due gol al Real Madrid in Coppa».
Resta il 6-0 nel derby.
«Sono cose che capitano».
Vabbe’... Ci rimase male?
«Certo che ci sono rimasto male, ma non avrei dovuto rimanerci male soltanto io».
Ha imparato a giocare di sinistro grazie a Gigi Riva.
«Io ero destro, ma da ragazzino mi facevano giocare ala sinistra e avevo la maglia numero 11, come Riva. La prima volta che l’ho marcato era un’amichevole a Pisa, avevo 18-19 anni. A Pantelleria ho un grande quadro: ci sono io che colpisco di testa e lo guardo dall’alto in basso, una cosa molto strana...».
Se l’Egitto la richiamasse in panchina con un’offerta pazzesca ci andrebbe?
«Perché no?».
Magari perché non collaborano su Giulio Regeni.
«Io credo che il calcio, e lo sport in generale, debba insegnare il rispetto, migliorare le cose attraverso il gioco. Non ero d’accordo nemmeno ad allontanare gli sportivi russi dalle competizioni dopo l’inizio della guerra in Ucraina».
Chi è adesso il calciatore italiano più forte?
«Barella è uno dei più forti. Poi ce ne sono altri, come Zaniolo, ma devono cambiare mentalità: lui è un giovane che ha bisogno di una guida».
Gioca a calcio con Tancredi e Fiamma, i figli di Sara?
«No, altrimenti direbbero che non è vero che sono stato un calciatore».

Lunedì debutta con «L’Avversario», su Rai 3. Parte con Antonio Cassano.«L’avversario di Cassano è Cassano. E l’autorità maschile. Segue solo quella della mamma e della moglie».
In quale puntata si è emozionato di più?
«Tutti gli incontri sono stati emozionanti. Platini si è messo a disposizione e ho per lui un affetto particolare. Mancini appare diverso, sorridente. Pericoli ha una storia incredibile».
E chi è il suo avversario?
«Mi reputo un uomo fortunato. Potrei dire mia mamma quando non voleva che giocassi a calcio, o le squadre che mi hanno rifiutato all’inizio. Con il Pisa il mio avversario era l’ansia: mi faceva rimettere prima di ogni partita».
Suo padre Domenico, operaio dell’Anas, è mancato nel ‘95. Cosa avrebbe voluto che vedesse, di quello che è successo dopo?
«Avrei voluto che si godesse quello che ho goduto io, assieme a me. Con mia madre sono riuscito a condividere tante vacanze al mare, la portavo in Sardegna, a Santa Margherita di Pula: l’amava».
Quale soprannome le piace di più: Coyote, Schizzo o Triglia innamorata?
Ride. «Sono simpatici tutti e tre. Il primo me lo aveva messo Bearzot perché non dormivo la notte e andavo a dar fastidio ai compagni. Schizzo è di Spinosi, perché ero molto magro. Triglia è di Nunzia De Girolamo, per gli occhi con la mia compagna».
Myrta Merlino. La sposa?
«Ma che domande fa?».

Non le piacerebbe?
«E se dico sì e lei dice no?».
Che cos’è per lei?
«È la mia compagna, è una donna molto protettiva, mi ha fatto crescere come uomo».
In che modo?
«Intanto nella scrittura. Ho una rubrica sulla Stampa. Non volevo farla perché non avevo mai scritto in vita mia. Lei mi ha incoraggiato; mi rilegge i pezzi, se può».
Perché non ci sono calciatori gay nella nostra Serie A?
«Beh, non è detto...».
Nessuno fa coming out.
«È vero. Ma non è una prova. Secondo me ci sono: è statisticamente impossibile che non ci siano. E comunque non vedrei il problema».
E perché non lo dicono?
«Forse sentono che non è il momento, che non c’è il clima giusto. Ma il mondo attorno a noi è cambiato: non vedo perché non debba cambiare anche il calcio».
Le hanno mai chiesto di entrare in politica?
«Sì, tre-quattro anni fa, in area centrosinistra. Ma una persona non era d’accordo e allora non ho accettato».
Questa intervista esce sotto il cappello del Gran Toscano. In cosa si riconosce toscano?
«Sono un po’ fumantino». Allora è andata bene!