La Stampa, 1 giugno 2023
Intervista a Aleksandar Vucic
«Il Kosovo è parte della Serbia, è molto chiaro. Lo dice la Costituzione serba, lo ribadisce la risoluzione Onu del 1999. Dove sta il problema?». Aleksandar Vucic, il presidente della Serbia, è a Belgrado e attende di incontrare i genitori dei bambini uccisi nel terribile massacro alla scuola elementare, a inizio maggio scorso, che ha mandato il Paese sotto choc e generato un’onda di proteste. Un’ora prima del meeting, parla con La Stampa e segue no stop l’andamento di ben altre proteste, quelle della sua gente, da 300 chilometri di distanza, nel Nord del Kosovo. «Il n ostro popolo là è arrabbiato», dice. Ieri, avrebbe dovuto incontrare il premier kosovaro Albin Kurti a Bratislava, ma Vucic non ci è andato. «Saremo a Chisinau domani (oggi per chi legge, ndr)». Ma lì, mancherà invece Kurti. In un gioco di rimpalli tattici che, secondo il leader di Belgrado, sono colpa di Pristina che non vuole una pacificazione in Kosovo.Presidente Vucic, i serbi-kosovari del Nord denunciano aggressioni da parte della polizia di Pristina. Quali sarebbero, secondo voi, queste discriminazioni?«I serbi che vivono nel Nord, e in altre enclave, si sentono attaccati dalle forze speciali di polizia del Kosovo. Quasi ogni settimana. Ci sono report affidabili che lo testimoniano. Pristina non ha diritto ad avere una polizia speciale nel Nord. Trattiene, ferma, molesta la nostra gente. Kurti ha sempre detto “siamo un Paese sovrano, abbiamo il diritto di dispiegare le nostre forze dove vogliamo”. È chiaro che non può. Ha fatto di più. La gente ha iniziato a protestare per le elezioni illegittime e illegali dei sindaci. Ci sono Comuni dove il sindaco l’hanno votato 11 persone. Non è democratico lo 0,02%. Anche gli americani e l’Ue stanno condannando il suo atteggiamento. Ma lui non vuole ascoltare».Lei cosa gli chiede, per far finire le proteste?«Di portare i suoi presunti sindaci a Sud e rimuovere le sue truppe dal Nord. Allora ci sarà una vera riconciliazione tra serbi e albanesi. Noi la vogliamo, siamo disposti a molti compromessi. Dall’altra parte c’è chi ha come unico scopo espellere i serbi o mostrare i muscoli. Teniamo la gente calma, ma se continua così non lo sarà».Anche il segretario di Stato americano Blinken ha bacchettato Pristina. Kurti è in difficoltà?«Siamo profondamente grati ai nostri partner americani per aver sottolineato di chi è la colpa, chi ha voluto questi incidenti. Ma abbiamo bisogno di più. Una pressione della comunità internazionale affinché Pristina agisca in modo razionale. Siamo pronti al dialogo. Non è stato facile digerire la mediazione prospettata a Bruxelles (cioè che la Serbia riconosca il Kosovo, le due parti accettino reciprocamente documenti, passaporti, targhe, Pristina crei un’associazione di municipalità serbe, ndr)».Vi siete già incontrati molte volte, con la mediazione della Ue. Da fuori sembra tutto tempo perso: continuate ad accusarvi e la tensione sale…«Abbiamo bisogno di vedere la formazione dell’associazione delle municipalità, poi saremo pronti per altri colloqui».Avete sempre intenzione di entrare nella Ue?«Siamo su questa strada e questi sono i nostri valori. Insieme al Montenegro, siamo il Paese più avanzato dell’intera regione. La nostra economia è il 50% di quella dei Balcani occidentali. Apparteniamo all’Europa, spero che in futuro faremo passi più rapidi».Come la mettete con le sanzioni alla Russia? È una delle condizioni, ma vi rifiutate.«Su 4 o 5 risoluzioni Onu, abbiamo votato in linea con gli altri Paesi Ue. Non abbiamo problemi a sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina. Le appartengono Crimea, Donbass, Zaporizhzhia e Kherson. Condanniamo le aggressioni. Parlando del processo di adesione, sei mesi prima di entrare, dovremo essere completamente allineati alla politica estera europea».Cioè niente sanzioni ora, poi si vedrà?«Abbiamo alcune differenze dovute a ciò che abbiamo vissuto qui 25 anni fa».Continuate a comprare gas a prezzi ultra favorevoli da Mosca. Ci rinuncerete?«Stiamo diversificando, con l’interconnettore Bulgaria-Serbia, prenderemo gas dall’Azerbaigian, Gnl da Alexandroupoli. Lo stiamo facendo insieme alla Comunità europea».Il leader della Republika Srpska Dodik è andato da Putin. E lei? Quando l’ha sentito l’ultima volta?«Non parlo con Putin da più di un anno. Ma ho visto tanti leader Ue che sono andati a trovarlo o gli hanno parlato. Credo non sia una cosa negativa parlare con qualcuno. Ma non lo faccio perché tutti direbbero, guarda i serbi. Quel che vogliono vietare a noi, si permettono loro di farlo».Considera Russia e Cina alleate affidabili?«Tutti coloro che al mondo seguono il diritto pubblico internazionale sono nostri partner. Non ci vergogniamo di dirlo. L’Italia, ad esempio, è una grande amica, anche se ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Parlo spesso con Tajani, e con Meloni. La Cina sta diventando un investitore sempre più importante per noi, come Russia, Kazakhstan, Ucraina. Questa è la politica».Lei conosce bene Putin.«Sì, vero».Quando fermerà la guerra e si siederà a un tavolo?«Io vorrei vedere entrambi, Zelensky e Putin, il prima possibile seduti allo stesso tavolo. È sempre molto meglio che fare la guerra».Quale potrebbe essere un compromesso accettabile per lui?«Devono trovare un denominatore comune, entrambi. E anche l’Occidente, insieme agli ucraini. Sono necessarie concessioni da entrambe le parti. Altrimenti, avremo altri conflitti. Il prima possibile, sarebbe meglio per l’umanità, per il mondo intero. So che non è popolare, perché sulla pace c’è una sorta di divieto, ma è ora di investire enormi sforzi politici per raggiungere qualsiasi tipo di tregua. Non con condizioni unilaterali, però».Ha paura che scoppino altri conflitti, nei Balcani ad esempio?«Credo e spero di no, ma io parlo per parte serba, non a nome di altri».