La Stampa, 2 giugno 2023
Intervista a Paolo Gentiloni
Vale per i grandi temi della globalizzazione fino al famigerato Mes. Secondo il commissario europeo per gli Affari Economici, Paolo Gentiloni, «il governo italiano, come accaduto in passato, potrebbe svolgere un ruolo attivo» e invece, come paese, «non riusciamo fino in fondo a far valere le nostre posizioni». Sul fondo salva-Stati, spiega nel corso di un’intervista pubblica condotta dal direttore de La Stampa Massimo Giannini al Festival internazionale dell’Economia di Torino, l’Italia corre «un rischio reputazionale». E rinuncia ad avere «qualche voce in più su come utilizzare in futuro i quattrini del Mes». Quanto al Pnrr la terza rata arriverà «prossimamente», assicura Gentiloni. Ma sui controlli anti-frode, dopo lo silenziatore del governo alla Corte dei Conti, l’uomo di Bruxelles è netto: «Spettano ai singoli Paesi».
Commissario Gentiloni, siamo in una nuova era nei rapporti commerciali mondiali. Cosa sarà dell’Europa in mezzo a due giganti come Stati Uniti e Cina?
«Siamo dentro una nuova globalizzazione che sta cercando di accorciare e rendere meno rischiose alcune catene del valore. In questo contesto si inserisce una corsa globale alle tecnologie pulite. Si gioca su minerali rari, sui semiconduttori, sulle tecnologie delle energie rinnovabili. L’Europa in alcuni aspetti è messa piuttosto bene: siamo molto forti nell’energia eolica off-shore, idem sulle pompe di calore, sui minerali rari possiamo recuperare, soprattutto se pensiamo a partnership con l’Africa. L’Europa potenzialmente c’è. E tuttavia gli americani con l’Inflation reduction act che cubava all’inizio 300 miliardi oggi probabilmente mettono in campo oltre mille miliardi di incentivi. E la Cina, secondo Bloomberg, quest’anno spenderà 600 miliardi di appoggio a progetti di clean technology. E l’Europa? La notizia positiva è che Bruxelles, da qualche anno, per la prima volta si sta ponendo il problema».
Scusate il ritardo, verrebbe da dire citando Troisi. Viene in mente anche un libro scritto da un calciatore argentino, Jorge Valdano, in cui si racconta di un allenatore che diceva: “Le mie squadre le organizzo sempre nel migliore dei modi, le metto in campo al meglio. Il problema è che gli avversari corrono!”. È così anche per l’Europa. Per correre non sarebbe ora di togliere la regola dell’unanimità?
«La mia preoccupazione, quando si tratta di superare almeno in alcuni campi il principio di unanimità, sono le dinamiche referendarie in cui sfocia il percorso che abbiamo in testa. Non sto dicendo che non si può fare, si può ridurre il principio di unanimità. Ma suggerisco di farlo traendo spunto da occasioni di crisi, da emergenze. Abbiamo fatto una cosa incredibile come il debito comune e gli eurobond perché c’era il Covid, se lo avessimo proposto e discusso non ci saremmo mai arrivati».
Anche l’Italia nei periodi di crisi, soprattutto i più gravi, riesce a risollevarsi. Ma sul Pnrr siamo dentro una sorta di tragicommedia. Abbiamo già incassato le prime due rate, la quarta l’abbiamo rinviata a dopo il 30 agosto, c’è una terza che avremmo già dovuto incassare e non arriva. A proposito, quando arriverà?
«Prossimamente. E quando sarà decisa, l’Italia avrà ricevuto più della metà dell’erogazione complessiva del Pnrr. Noi ci teniamo quanto ci tengono le autorità italiane. Dobbiamo cercare di fare presto e bene. Non condivido l’idea che fare presto significhi fare male, perché certamente tutti sappiamo le condizioni in cui i 27 paesi europei hanno fatto questi piani di recovery. C’era la pandemia, c’erano tempi limitati, c’erano risorse per alcuni paesi senza precedenti, una parte dei piani sono stati fatti ricorrendo a progetti che erano già pronti nei cassetti. È un motivo di scandalo questo? Può essere un motivo per migliorare il piano. Non certo per dire che non sia utile, ad esempio, fare 265 mila nuovi posti di asilo nido, o 4.500 stazioni di ricarica veloce. O i posti letto per studenti fuori sede. Quello che oggi vede impegnata la Commissione e il governo italiano è cercare di fare questo aggiornamento del piano e farlo il più presto possibile. L’emendamento a quello spagnolo arriverà a inizio della prossima settimana. Negli ultimi 10 giorni abbiamo ricevuto l’aggiornamento dei piani greco, francese, tedesco, portoghese...».
Dall’Italia invece non arriva.
«So bene che per l’Italia è più difficile perché è il piano più importante. Noi siamo pronti a collaborare e rendere l’attualizzazione del piano più facile possibile. Aspettiamo che queste proposte arrivino. Finora, una decina di giorni fa, è arrivata una proposta importante sul nuovo capitolo per la parte energetica, il Repower Eu. La Commissione la sta esaminando ed è già un pezzo del lavoro».
Non avete il sospetto che la difficoltà possa nascere dal fatto che l’attuale prima ministra di Fratelli d’Italia, prima di guidare Palazzo Chigi, ha sempre avuto posizioni apertamente anti-europeiste, non si fidi dell’Europa, abbia paura che possa arrivare qualche fregatura per l’Italia? Vede questo rischio?
«Non lo vedo onestamente. Il punto è considerare l’importanza di aggiornare questo piano non come una specie di pratica fastidiosa che si deve fare per accontentare Bruxelles ma come un’irripetibile e straordinaria occasione. Questa scelta, culturale e politica, credo sia assolutamente fondamentale».
Quando si parla degli ostacoli al Pnrr si cita anche la troppa burocrazia. Il governo ha preso una decisione che è apparsa significativa da questo punto di vista: ha detto stop ai controlli della Corte dei Conti che ritardano e complicano la messa a terra del piano. È la scelta giusta o è la reazione del malato che ha la febbre e anziché curarsi rompe il termometro?
«L’esigenza di superare ostacoli, vischiosità, difficoltà, lentezze nell’attuazione dei nostri investimenti, credo che l’abbia chiara chiunque abbia avuto qualsiasi ruolo di governo nazionale e locale. Nel merito non ho alcuna opinione sulle proposte del governo, voglio sia chiaro però a discarica delle responsabilità di Bruxelles che, riguardo a quanto contenuto nei Pnrr, la Commissione Ue effettua controlli solo sulla carta: verifichiamo la corrispondenza tra gli impegni presi e la loro realizzazione nei tempi previsti. Se queste due cose coincidono, per noi va bene. Naturalmente spetta ai sistemi di controllo dei vari paesi, e l’Italia ne ha di ottimi, verificare che non ci siamo fenomeni di frode, di corruzione, di doppia spesa tra diversi fondi europei. Questo non lo possiamo controllare da Bruxelles per 27 diversi paesi. Credo che questo sia già chiaro a tutti e sicuramente lo sia al governo italiano».
Patto di stabilità: è in corso una riflessione su come modificarlo. Dal 2024 non sarà più sospesa la regola del rispetto dei vincoli su debito e deficit. Che rischi ci sono per l’Italia?
«Il rischio è di non raggiungere un’intesa e di tornare alle regole precedenti. Una situazione molto pesante per i paesi ad alto debito perché nel frattempo questo è aumentato. Però sono abbastanza fiducioso che, anche col contributo attivo del governo italiano, si riuscirà ad arrivare a un compromesso».
Resta fermo che noi sul debito dobbiamo lavorare parecchio. E connesso a questo c’è il famigerato Mes, il fondo salva-stati. Anche da Visco è giunto l’invito a ratificare questa riforma. Siamo rimasti l’unico stato a resistere. S’è fatto idea sul perché e su cosa rischiamo?
«È un rischio reputazionale: un paese importante come l’Italia che ha condiviso un accordo tre anni fa, perché la modifica dello statuto del Mef è stata convenuta tra i diversi paesi europei all’unanimità, ma che non mantiene questo impegno non ottiene certamente vantaggi. Un’eventuale ratifica darebbe qualche voce in più al governo italiano in un capitolo che comunque va aperto anche sull’utilizzo futuro di questo fondo. Oggi la modifica dello statuto consente di usare una parte dei quattrini, 68 miliardi, come seconda fascia di resistenza in caso di crisi bancarie in giro per l’Europa. Ma al di là di questa destinazione si può ragionare per utilizzi anche più ampi. So che il governo italiano ha idee da questo punto di vista. Per rendere credibili e forti tali idee la ratifica aiuterebbe».
Siamo ancora un osservato speciale in Europa?
«L’Italia è un paese fondatore e deve stare in Europa a testa alta. Non è che siamo osservati speciali. Mi lamento del fatto che non riusciamo fino in fondo a far valere le nostre posizioni»