Corriere della Sera, 2 giugno 2023
La confessione Alessandro Impagnatiello
Milano Il tradimento come regola di vita, la menzogna un’abitudine, e quando coloro che credono in lui lo mettono spalle al muro, incapace di affrontare le proprie responsabilità non ha scrupoli ad eliminare chi ha scoperto il suo misero gioco con la vita degli altri. Finisce in carcere reo confesso Alessandro Impagnatiello, barman milanese del lusso che a 30 anni non ha avuto scrupoli a trucidare con fredda determinazione a coltellate la giovane donna che tra due mesi gli avrebbe dato un figlio.
Un castello di falsità
Gli atti del pm Alessia Menegazzo e dell’aggiunto Letizia Mannella, che in appena 4 giorni hanno fatto luce su ciò che sembrava il giallo di una scomparsa, ricostruiscono con le indagini scrupolose dei carabinieri del Nucleo investigativo il fragile castello delle falsità. Dopo una relazione dalla quale 8 anni fa nacque un bambino, nel 2020 Impagnatiello allaccia un rapporto con un’altra donna. È Giulia Tramontano, agente immobiliare milanese di origine campane. Tutto fila liscio fino all’estate scorsa quando si lega anche ad una 23enne italo inglese che lavora con lui nell’Armani hotel, pieno centro di Milano. «Mi sono ritrovato a dire bugie per tenere entrambe le relazioni», ammette ai pm. Finché le due ragazze non si trovano.
«È scomparsa»
Lunedì scorso Impagnatiello denuncia ai carabinieri di Senago (Milano) la scomparsa della 29enne Giulia. Racconta una storia che fa subito acqua. Dice che le due donne avevano saputo l’una dell’altra e volevano fare chiarezza con un incontro a tre al bar dell’Armani, al quale lui però si sottrae. Giulia aveva saputo che l’altra aveva interrotto a febbraio una gravidanza avuta con Alessandro. Tornata a casa, era uscita di nuovo intorno a mezzanotte (anche lui lo farà poco dopo), ed era poi rientrata. La mattina l’aveva lasciata a letto mentre lui andava al lavoro. Da allora nessuna notizia di lei, tranne una serie di sms che sembrano tranquillizzare nelle prime ore parenti e amici. Telefono staccato, passaporto, carte di credito e denaro spariti. Tutto fa pensare ad un allontanamento volontario, ma i militari accertano subito che il cellulare non si è mai mosso da lì.
Il lenzuolo arrotolato
Le telecamere di sorveglianza vedono l’uomo che esce di casa 19 minuti dopo la mezzanotte di domenica e rientra alle 3.14. Esce di nuovo alle 3.22 con un lenzuolo arrotolato che lascia nell’auto parcheggiata all’esterno. Lo fa ancora intorno alle 7 per andare al lavoro portando uno zaino e due sacchetti pieni di tessuti che mette in macchina. Movimenti troppo sospetti che attirano gli investigatori. Impagnatiello sente il fiato sul collo quando mercoledì viene convocato nella caserma di Senago dai pm con il suo avvocato. Il luminol rileva tracce di sangue in macchina, nel bagagliaio del suo Suv. Il 30enne viene iscritto nel registro degli indagati per omicidio mentre gli esami scientifici proseguono in casa partendo dalle scale condominiali che dal primo piano portano alla cantina e al garage. La scena comincia a chiarirsi: tracce di sangue sul pianerottolo, alcune lavate in modo approssimativo. Ma è sulle scale che emergono segni di trascinamento.
Il crollo
Sono le 22 di mercoledì. Impagnatiello esce dalla palazzina e gli viene detto di salire sull’auto per seguire i carabinieri in caserma. È un momento drammatico: la gente urla «assassino», flash e telecamere non gli lasciano tregua. Lungo i 400 metri di strada il barman capisce che ormai non ha più speranza. «L’ho uccisa io. Confesso tutto. Giulia è nascosta in via Monte Rosa».
Il racconto
Il verbale si chiude alle 3.14 di giovedì. Dice che appena rientrata a casa intorno alle 19, Giulia ha subito affrontato la questione, ma «con toni rassegnati» contestando ciò che aveva saputo dall’altra. Qui il racconto è contraddittorio, il 30enne sembra voler far credere ad un iniziale tentativo di suicidio. Afferma, infatti, che mentre Giulia tagliava i pomodori per la cena «ha iniziato a procurarsi dei tagli sulle braccia» e «al collo» dicendo che «non voleva più vivere». Lui «per non farla soffrire» le ha inferto «tre o quattro colpi all’altezza del collo» dicendole, mentre era «stremata a terra», «che era finita e che doveva riposarsi». Forse si rende conto dell’assurdità di ciò che racconta quando aggiunge che Giulia «ha cercato di difendersi muovendosi e divincolandosi» senza urlare. «In pochi minuti» tutto è finito.
Farla sparire
«Ero confuso e annebbiato» continua Impagnatiello dichiarando di aver trascinato il corpo in bagno: «Mi sono reso conto che l’avevo uccisa». Sapeva cosa fare. Poco prima che Giulia rientrasse, mentre le due donne smascheravano le sue bugie, aveva già deciso tutto. Aveva cercato sul web «ceramica bruciata vasca da bagno», forse per nascondere i segni di ciò che avrebbe fatto. E infatti dice che ha tentato di bruciare il corpo con l’alcol, senza riuscirci. Il racconto è agghiacciante: «Ho deciso di continuare nel box». Deve però aspettare le 23 per trascinare lungo le scale quel corpo offeso e far sparire le tracce senza essere visto. Intorno alle tre, come registrano le telecamere, esce e torna con una bottiglia di benzina dopo aver gettato nei cassonetti altri stracci. Nel box tenta ancora, inutilmente, di bruciare il cadavere, ma è lui stesso a spegnere le fiamme due ore dopo perché «non riuscivo (reggevo, ndr) a vederle».
Al lavoro
Alle 7 di domenica va al lavoro come sempre mentre ciò che resta di Giulia è lì nel garage. Quando torna alle 16.30 prosegue la messinscena con una denuncia di scomparsa ai carabinieri. Gli stessi che lo riaccompagnano a casa per un sopralluogo ma che in quel momento non possono sospettare nulla. «Non temeva che aprissero il box?», chiedono i pm: «Forse speravo che lo facessero», risponde. Gli investigatori scopriranno che in quegli stessi momenti cerca con il cellulare notizie su «Giulia Tramontano» e se si parla di «scomparsa allontanamento volontario» e «valigie vecchie». A verbale spiega che ne voleva trovare di usate da mettere in cantina, senza che si notassero ad uno sguardo casuale, per coprire «uno spazio vuoto». Forse per nascondere meglio il corpo o usarle per trasportarlo una volta fatto a pezzi.
Il corpo in auto
Lunedì mattina torna ancora al bar, ma deve rientrare a casa perché l’Armani lo ha sospeso in attesa che si chiarisca la situazione. Ne approfitta per finire il macabro lavoro rimasto in sospeso. Sposta il corpo in cantina, mette la macchina nel garage e la mattina dopo, alle 7, lo riporta indietro per caricarlo nel baule del suo Suv. «Ho comunque usato la macchina andandoci in giro con il cadavere nel bagagliaio», dice. Non sa come liberarsi del cadavere mentre il clamore sul caso di Giorgia Tramontano è altissimo, si susseguono gli appelli della sorella Chiara e il giardino davanti casa è pieno di giornalisti. Lui aspetta che cali la notte e alle 2.30 di mercoledì fa il passo finale. Carica i resti di Giulia e del bimbo che ha in grembo sulla sua Volkswagen T-Roc bianca ed esce di casa. Dopo meno di seicento metri, si ferma in via Monte Rosa e lascia il corpo in un’intercapedine dietro una fila di garage. I carabinieri lo trovano su sua indicazione all’una di giovedì notte. Oggi l’interrogatorio a San Vittore, risponde di omicidio volontario premeditato, aggravato dalla crudeltà e dai motivi futili, occultamento di cadavere e procurato aborto.
Quando gli chiedono se qualcuno l’ha aiutato, pare recriminare su sé stesso: «Sarebbe stato l’ennesimo errore dopo quelli che ho già fatto. Forse mia mamma ha dubitato, ma per 30 anni non le ho mai dato motivo (di pensare, ndr) che potessi fare una cosa simile».